Luca Persico, in arte Zulu, storica voce dei 99 Posse non ha certo bisogno di presentazioni. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente mentre era in viaggio in furgone in Tour e abbiamo fatto qualche chiacchiera con lui. Ecco cosa ci ha raccontato.
Ciao Luca, buongiorno. Cosa rappresenta Sono questo. Sono quello. Quanto ne vuo’ nel percorso di Zulu?
Ciao, guarda… E’ un punto di arrivo ma anche un punto di ripartenza. Tutto è nato dalla questione del live. Io portavo in giro una specie di dj-live-set in cui, stando dietro alla consolle, un po’ mettevo musica, un po’ mandavo basi e sopra ci cantavo. Diciamo… con lo spirito delle prime dancehall della fine degli anni 80, inizio anni 90. Cerco di riproporre quel mood. Dopo un po’ di tempo che lo facevo mi sono reso conto che riproporlo con i suoni dell’epoca era un po’ mortificante nei confronti anche dello spirito della dancehall stessa che comunque nasce in un epoca ma non resta pietrificata in quella stessa epoca. Si evolve. Anzi si è continuamente evoluta. Per cui sono andato alla ricerca di suoni che si confacessero un po’ di più a quello che sono diventato oggi e mi dessero una mano con la musica ad esprimere tutte le cose che esprimo con le parole.
Certo… comprensibile.
Quindi ho contattato un paio di producer e ho trovato quelli che facevano più al caso mio: D-Ross & STAR-t-UFFO. Mi hanno proposto la prima decina di beat sui quali però, invece di rifare il mio concerto, immediatamente ho sentito l’esigenza di scrivere… di scrivere cose nuove che riguardassero esattamente quello che poi volevo esprimere rinnovando il live, cioè quello che io sono diventato oggi… che poi mi sembra essere molto simile da quello che ero all’inizio, però con la differenza che sono passati 30 anni da quando io muovevo i primi passi ad oggi e quindi… ci volevo mettere un po’ della consapevolezza di questi 30 anni nella spensieratezza dell’approccio dei primi tempi. Ritrovare un po’ di leggerezza nel dire cose difficili era l’obiettivo principale. Accompagnata tra l’altro da una ritrovata leggerezza fisica perché ho perso anche 40 kg in questi ultimi 3 o 4 anni. Per cui ecco… nella mia vita stanno accadendo un sacco di cambiamenti e tutte queste cose si stanno traducendo in musica. Per ora sono diventati questo primo EP che si chiama “Sono questo, sono quello”. Poi ne è arrivato un altro che si chiama “Quanto ne vuo’’”. E insieme sono diventati: “Sono questo, sono quello. Quanto ne vuo’”… un cd fisico che in questo periodo sto, tra virgolette, promozionando.
E dico tra virgolette perché poi in realtà non sto promozionando con il tour il mio ultimo disco ma è il mio ultimo disco la forma di promozione del mio tour.
In che senso?
Nel senso… essendo il disco stesso nato quasi per sbaglio mentre io cercavo i suoni per un tour, ogni singola canzone è nata già pensando alla sua collocazione all’interno dello spettacolo. Io avevo già in testa uno spettacolo. Per cui per convivere con il mio repertorio che è tanto… perché comunque in questi 30 anni di musica ho fatto 14 dischi tra album solisti, con altre band e la maggior parte con i 99 Posse. “Sono questo. Sono quello” è il mio 15esimo disco. Per cui trovare un modo per rifare un repertorio senza che suonasse assolutamente come era stato concepito nel momento in cui è stato concepito era la mia principale esigenza. Poi attorno a quest’esigenza sono usciti prima 7 poi altri 5 per un totale di 12 pezzi nuovi che sono andati a collocarsi esattamente nei punti in cui c’era bisogno che si collocassero. Per cui alla fine è venuto fuori questo spettacolo live che poi qualche divinità – non so quale – ha voluto che durasse sommando tutta la musica che c’è all’interno dello spettacolo 99 minuti. 27 tracce. 99 minuti di musica.
Per cui alla fine è un po’ come se fosse il mio punto di arrivo e il mio punto di ripartenza. Se avessi 50 anni sarebbe tutto perfetto. Invece ne ho 47, quest’anno ne faccio 48.
Per il resto direi che è proprio uno di quei momenti di passaggio in cui uno si sta ridefinendo. Sta riscoprendo delle cose di se’. Sta affrontando il duello tra l’uomo e il personaggio. Come un po’ tutti nella nostra vita. Solo che nel mio caso il personaggio ha anche un nome ed è molto più famoso dell’uomo. In tutti gli altri casi il personaggio è quello che vive nelle nostre fantasie. A volte la notte. O quando si beve. Gli alter ego diciamo. Sto parlando di persone bipolari di base ma io mi definisco un multipolare. Sto ad un altro livello.
(risate)
Comunque ecco… questa battaglia tra Luca e Zulu è sempre stata la base di quasi tutte i miei malesseri. Ed è da relativamente poco tempo che ho imparato ad accettare che c’è dello Zulu in Luca e c’è moltissimo Luca nello Zulu. E in mezzo a questi due ci sono anche tanti altri: i maniaci del controllo, i depressi, i punk autodistruttivi, i politici pallosi. C’è un’assemblea di persone dentro di me. E tutto il percorso che sto facendo sta cercando di condurre questa moltitudine a un’unica forma di espressione che in qualche maniera rappresenti rispettandoli tutti gli aspetti salienti di questa moltitudine. E’ una questione un po’ complessa che raccontata così sembra una palla esagerata. Invece , secondo me, alla fine il risultato è un disco in cui con una leggerezza inaspettata si affrontano 30 anni di vita, 15 dischi e in queste 27 tracce ci sono circa 50 brani, alcuni dei quali cantati per intero ed altri solo accennati. Con una strofa, un ritornello.
Hai descritto una specie di percorso circolare che ritorna un po’ alle origini.
Si, tutto era nato da una volontà spicciola di abbassare il livello di impatto dello spettacolo per potermi permettere di tornare nei posti dove riesci a suonare con il pubblico che ti suda addosso, che ti fa cadere la birra sui jeans. Quella è una parte importante, secondo me, della musica. Ed è un peccato che tutti i gruppi che arrivano da un certo livello in poi incominciano a perdere questo aspetto. Per motivi proprio di ordine pubblico. Io non avendo questi problemi di ordine pubblico… o meglio avendolo solo quando le autorità decidono di crearlo… spesso decidono anche di creare un hype attorno alle nostre esibizioni come se stessero per arrivare una cosa a metà tra gli Unni, i Visigoti, i Black Block e i drogati di tutto il mondo nel paese a devastare e a distruggere invece che una moltitudine di persone con la voglia di divertirsi ed ascoltando musica.
(risate) Senti… tu hai sempre portato avanti valori sociali importanti e anche nel tuo ultimo videoclip “Il mio nome è Zulu” tocchi i temi dell’antirazzismo. Da questo punto di vista stiamo vivendo un momento storico particolare in cui il tema immigrazione è molto forte… Quanto pensi sia importante oggi parlare di questi temi?
Si… Io più che toccare il tema dell’antirazzismo mi piace dire che tocco il tema della società multiculturale, multietnica in cui le differenze diventano valori aggiunti e dove l’unione di queste diventa il presupposto attraverso cui l’umanità progredisce in meglio. Il razzismo è una cosa relativamente recente anche se poi, se vai a vedere, è antica nel nostro Paese. Diciamo che il razzismo che arriva ad entrare nella cronaca quotidiana del nostro Paese è una cosa relativamente recente. La società multietnica e multiculturale è antichissima. In un mondo che va avanti con la contaminazione dei popoli che a volte è anche spinto dagli interessi delle multinazionali che noi combattiamo già dai tempi in cui eravamo No Global. Stiamo parlando ormai di quasi 20 anni fa. Noi sono 20 anni che dicevamo che era una pazzia permettere alle fabbriche di delocalizzare dove volevano per mantenere i loro stipendi invariati producendo disoccupazione nei loro Paesi e sfruttamento in altri Paesi. I risultati di queste politiche oggi sono sotto gli occhi di tutti. Noi non siamo quindi antirazzisti, siamo il contrario dei razzisti. Che è diverso da essere antirazzisti. Abbiamo iniziato il nostro lavoro molto prima che i razzisti iniziassero a dire che ci fosse un problema di razza nel nostro Paese. Noi lavoriamo per la comunità. Gli altri diffondono odio e noi facciamo comunità. Questo è quello che facciamo. Descriviamo un altro mondo possibile. Ma non ci limitiamo a descriverlo. Nel frattempo lo costruiamo. L’Afro Napoli United è già un pezzo di altro mondo possibile. La storia stessa di Zulu, uno che a 15 anni lo sfottevano chiamandolo Zulu perché aveva i capelli lunghi e un anello al naso e che oggi da 35 anni, da quando ne aveva 15, campa da 30 anni facendo lo Zulu sopra i palchi. Questa è la dimostrazione reale che un altro mondo non è solo possibile. Qua lo si sta già praticando.
(risate)
E questa è anche un’altra chiave di lettura del disco. Raccontare me stesso: è un disco molto intimista. Solitamente però i dischi intimisti sono dischi in cui fai un po’ i conti con le cose: sono anche un po’ tristi. Questo invece secondo me è pieno di potenza e di freschezza e di immediatezza. Proprio perché i conti che ho fatto mi portano ad avere riacquisito anche molta stima di quello che ho fatto. Dopo essermi fatto un sacco di anni di “Purgatorio” e di critiche auto-inflitte per gli errori che pure evidentemente avrò commesso durante questi anni. Però credo, come ho descritto anche in un pezzo del dico che si chiama “Reo confesso”, il fine-pena-mai che mi sono affibiato non debba necessariamente corrispondere con la galera fisica e quindi ho provato a liberare queste energie che evidentemente erano anche più forti di quello che pensavo. Quasi tutto quello che è avvenuto, è avvenuto senza essere stato programmato. La penna improvvisamente ha cominciato a smuoversi, io ho cominciato a leggere i miei testi come se fossero delle vere e proprie mail ricevute dall’inconscio.
Da personalità che stanno talmente sotto che io non sapevo neanche che esistessero. Però mi mandano le mail…
(risate) Bellissimo… Invece, quando ti guardi intorno oggi e vedi i ragazzi che si stanno affacciando nella nuova scena Italiana, ci sono cose interessanti in cui ti rivedi? A Napoli e non solo… Oppure ti sembra che troppe cose siano cambiate ed è difficile fare un parallelo?
Guarda… in realtà le cose che trovo più simili al percorso che ho fatto io se devo guardare a quello che accade oggi, le trovo nell’Hip Hop.
Forse anche in alcuni frangenti che non vanno per la maggiore della Trap. E’ l’attitudine di base prima di tutto di avere qualcosa da raccontare che riguarda il proprio vissuto e le proprie aspettative che non vengono confermate, i propri sogni che vengono ostacolati, i propri sforzi che non vengono riconosciuti. Questi sono argomenti che credo accompagneranno i giovani finché ci saranno giovani. Società di adulti nella quale loro si dovrebbero inserire accettando delle regole che però gli stanno strette. E’ una cosa eterna. La differenza però è tra il pre e il post 99 Posse, dove per 99 Posse non parliamo solo del gruppo, ma parliamo di tutto il periodo, quello degli anni 80 in cui c’è stata la Pantera, in cui per la prima volta c’è stata una forma di contestazione generale che andava dalle fabbriche alle università alle scuole alla società civile. Insomma in quel periodo si è segnata una linea che solo il periodo tra gli anni 70 e gli anni 90 era riuscito a spezzare. La linea che attraverso l’arte e soprattutto, tra le forme artistiche possibili, attraverso la musica si potesse in qualche maniera esprimere una forma anche di critica nei confronti della società e comunque si potesse esprimere un percorso possibile altro rispetto alle regole imposte dalla società.
Se tu negli anni 80 ti presentavi in una casa discografica o in una radio con un pezzo che parlava di malavita, di coltelli, di ragazzini che ti emarginano o addirittura di fascisti, polizia, manganelli e quant’altro, ti mandavano direttamente al TSO… o a cagare. Solo per esserti presentato con una cosa del genere. Oggi siamo in una società in cui mi sembra che sia quasi il requisito per entrare nel mondo dello spettacolo: essere un po’ borderline, un po’ fuori di testa. Questo rappresenta sia la più grande sconfitta per tutto quello che abbiamo fatto ma anche una forma di vittoria perché comunque abbiamo sfondato quella porta e oggi siamo riusciti a far passare che attraverso la musica si possono esprimere anche dissensi.
E poi se pensi che ci sono comunque in un mondo in cui il Mainstream è sempre rappresentato da chi parla di cose banali e superficiali e ne parla possibilmente in modo volgare e fatto male, l’Underground produce delle cose incredibili… come ad esempio Salmo!
E continua a produrre quelli della mia generazione che continuano il loro percorso e hanno avuto figli artistici oltre quelli che abbiamo fatto nella vita reale con le nostre mogli.
E questi figli ne hanno fatti altri. Insomma la scena comunque continua ad esistere. Ovviamente quella che mi assomiglia di più è quella talmente minoritaria da non sapere neanche di essere una scena essa stessa.
(risate)
In ogni posto dove vado a suonare ci sono artisti, rapper locali, giovani e giovanissimi che suonano,che spaccano e che la gente del posto conosce bene. Conosce i loro pezzi. Mi sembra che comunque continui a funzionare questo fatto che il rap serve quanto meno per trasformare i veleni che hai in corpo. Energia pulita che non ti ammazza ma anzi in qualche maniera ti aiuta ad andare avanti.
Progetti per il futuro? Dopo questo album e questo tour cosa farai?
In realtà sto già pensando al prossimo. Oltre a ciò non dimentichiamo che ci sono anche i 99 Posse che dovrebbero uscire con un disco entro, più o meno, un annetto. C’è molto materiale in cantiere. C’è anche un altro progetto in cui sono impegnato che si chiama Terroni Uniti. Io sono anche uno dei Terroni Uniti, un collettivo di 35 tra cantanti, producer, musicisti e quant’altro che fanno canzoni e solidarietà.
Una curiosità… nei progetti collettivi come 99 Posse e Terroni Uniti, rispetto ai tuoi dischi solisti, cambia qualcosa nel tuo approccio alla scrittura?
E’ una domanda importante. Uno dei motivi per cui queste canzoni sono uscite come progetto solista e non come un testo dei 99 Posse è proprio perché è stato Zulu a volersi ridefinire. Era una cosa molto personale. La scrittura di quest’ultimo progetto è talmente intima che sfugge anche alle mie decisioni intellettuali. Io magari prendo la penna dopo aver parlato con qualcuno di cosa voglio esprimere su un beat. Poi però dopo aver iniziato ascrivere mi rendo conto che le rime vanno proprio in un’altra direzione. E quando provo a riportarla nella direzione che io volevo esprimere mi vengono fuori delle cagate.
(risate)
Quindi smetto di cercare di dare una direzione. Lascio che le rime si completino da sole. Osservo come fossi esterno. A quel punto viene fuori il pezzo. Nei progetti solisti la scrittura è così.
Invece con i 99 Posse, che poi rappresenta per me il modo storico con cui ho sempre scritto, è sempre stato l’esatto contrario invece. Cioè: più o meno si degfinisce un’area ampia all’interno della quale ci si vuole muovere e dopodichè si comincia ad intervenire. Iuo butto giù una prima stesura che poi affrontiamo tutti quanti insieme. Cambiamo delle cose. Miglioriamo delle attitudini. Cambiamo completamente l’atmosfera di una parte. E’ frutto di un lavoro collettivo. Siamo un collettivo per cui naturale che sia così.
Con i Terroni Uniti siamo addirittura riusciti ad andare oltre questo. Siccome ci sono almeno 25 penne tra i Terroni Uniti e interagiscono perché finora noi abbiamo fatto 3 o 4 canzoni, 5 se non sbaglio. E in tutte quanti non ci sono mai meno di 20 cantanti. E quindi come si fa? Si fa ceh si butta giù un’idea generale e poi ognuno arriva e scrive. E poi arriva un altro e scrive un altro pezzo. E alla finew si riesce a raggiungere un testo. Una volta raggiunto il testo ce lo dividiamo a prescindere da chi ha scritto cosa, semplicemente in parti uguali. E poi lo interpretiamo. Quiindi proprio con Terroni Uniti staimo facendo un’altra cosa che va proprio al di là anche del concetto di collettivo dei 99 Posse. L’unione fa la forza. L’io non conta niente. Conta solo il noi. Questa è l’operazione Terroni Uniti.