Una decina di giorni fa un’intera etichetta discografica ha annunciato il passaggio a Soundreef. Si tratta di White Forest Records, prima label esclusivamente dedicata alla musica elettronica in Italia. Oggi facciamo loro qualche domanda per conoscerla meglio.
Ciao ragazzi, innanzitutto ci teniamo a dirvi che è un piacere poter collaborare con voi. Ci piace la vostra proposta artistica ed è un piacere sapere che siete dei nostri.
Il piacere è tutto nostro: ben prima di aderire al vostro progetto, abbiamo ammirato la vostra attitudine tenace e la qualità dei servizi che offrite.
Come è nata White Forest Records?
L’etichetta è nata sul finire del 2012. Lorenzo, già musicista in attività da molti anni, covava in sé l’idea di aprire un’etichetta di musica elettronica e ha trovato in Luca il suo primo partner. Dopodiché i due hanno interpellato alcune persone con cui avviare il progetto, fra cui Andrea che ha suggerito di dedicarsi alla ricerca e alla promozione di talenti attivi nel panorama italiano. Nel tempo si sono aggiunte due preziosissime risorse: durante il 2013, Matteo, responsabile audio e distribuzione, e nel 2015, Lea per le grafiche.
Quali sono obiettivi e valori di White Forest Records?
Vogliamo premiare il talento di chi fa musica elettronica in Italia. Scopriamo musicisti capaci ma spesso del tutto sconosciuti, ne curiamo il lavoro nei vari aspetti, siano essi l’audio, la grafica o la pianificazione delle uscite, e promuovendolo attraverso i nostri canali, e tramite eventi e media di settore. Jhon Montoya è uno dei casi in cui siamo partiti da zero, dal talento grezzo, per far conoscere agli italiani la musica di questo incredibile violinista colombiano che da 15 anni vive e suona in Italia. Dedicarsi esclusivamente a ciò che è composto, suonato e prodotto da musicisti appartenenti alla scena del nostro territorio vuol dire anche costruire un programma per renderla internazionale, esportandola.
Alcuni dei nostri musicisti hanno già avuto modo di confrontarsi con contesti internazionali: Bienoise, Broke One, Furtherset e Lamusa, sono stati scelti e hanno partecipato, in edizioni diverse, alla Red Bull Music Academy. Per questa ragione, consci della validità della nostra offerta anche all’estero, abbiamo in progetto di esportare la nostra musica fuori dai confini nazionali. Tuttavia trattandosi di un processo che richiede notevoli risorse in fondi e networking, abbiamo intenzione di farlo senza essere sbrigativi e con un programma ben strutturato. Benché tutti noi abbiamo un background in ambito musicale, questa è la prima esperienza alla guida di un’etichetta e sviluppare una propria personalità e un proprio know-how richiede tempo, oltre che metodo.
Come sta cambiando la scena elettronica italiana?
C’è chi sostiene che una scena non esista, poiché i progetti artistici che la popolano sono sì tantissimi, ma spesso eterogenei fra di loro. D’altro canto è innegabile che in Italia il numero di chi si dedica alla composizione e all’esecuzione di musica a base di laptop, sequencer, tastiere o drum machine sia aumentato a livelli spropositati negli ultimi cinque anni. È sempre più facile far musica di qualità alta, tecnicamente, e così facendo c’è una sorta di surplus dell’offerta, che le etichette, le agenzie di booking e gli altri operatori del settore dovrebbero scremare per fare in modo che emerga solo il meglio.
Cosa, secondo voi, si potrebbe migliorare?
Di recente la quantità e la qualità delle produzioni si sono innalzate, e se il pubblico ha un certo appetito per la musica in sé, sia essa un singolo o un’opera più complessa come un album, abbiamo riscontrato che ha una vera e propria fame quando si tratta di spettacoli dal vivo. Pur essendo noi un’etichetta e non una società adibita all’organizazione di eventi, stiamo ragionando sul metodo migliore per contribuire a soddisfare questa domanda.
Riteniamo pure che il pubblico vada in un certo senso educato: ci sono poche radio che sperimentano e variano la propria offerta, la maggior parte sceglie la via più facile, quella della musica mainstream, senza curarsi di far ricerca, di provare a osare qualcosa in più, per condurre gli ascoltatori verso qualcosa di nuovo e di diverso, qualcosa di scevro dalla tradizione cantautoriale o dalla leggera italiana archetipica.
Molti producer di musica elettronica sia a livello internazionale che italiano vengono ora chiamati a produrre progetti di natura più pop. E’ un fenomeno reale? Come mai secondo voi?
È un fenomeno reale, sì. La causa va forse ricercata nell’evoluzione dell’industria musicale dopo l’avvento dell’era digitale. In seguito alla globalizzazione musicale portata dalla rete, la linea tra l’underground e il mainstream si è fatta sempre più sottile: le produzioni pop hanno acquisito una buona parte della grammatica dell’elettronica contemporanea, ma d’altro canto i dischi underground sono diventati sempre più puliti e ben confezionati.
Come mai avete scelto Soundreef?
A nostro modo di vedere, la competizione incentiva l’efficienza. In concorrenza, e non in monopolio, i consumatori possono trarre i maggiori benefici ed essendo noi dalla parte degli artisti, crediamo di compiere una scelta premiante per loro e per una realtà ambiziosa come Soundreef, aderendo al suo progetto. Per questo incoraggeremo i nostri musicisti a utilizzare i vostri servizi.