Raniero Pizza è una figura di riferimento tra gli addetti ai lavori dell’industria musicale a Roma. Per anni Direttore Artistico del Circolo degli Artisti e protagonista di molte tra le più importanti ed interessanti rassegne di musica dal vivo in giro per la città di Roma, non più di un paio di anni fa ha iniziato, insieme ad Ausgang Produzioni, una nuova avventura aprendo il Monk. Abbiamo avuto il piacere di scambiarci qualche parola per parlare del suo percorso e di come sta cambiando il mondo della musica dal vivo ed in generale l’Industria Musicale in Italia.
Ciao Raniero, dopo l’esperienza del Circolo degli Artisti e gli anni di Ausgang senza quartier generale che tipo di idea c’è stata alla base dell’apertura del Monk? Che tipo di locale avete voluto creare?
Ciao, in effetti il Monk non è propriamente un locale nel senso classico del termine.
Nasce come Circolo ARCI, distanziandosi proprio dall’idea comune che si ha di locale. Fa tanta musica dal vivo. Cerca di farla nel miglior modo possibile, cercando di essere il più accogliente possibile, per chi ci suona e per chi viene a trascorrere il tempo qua.
E’ un posto che abbiamo voluto anche a misura di famiglia. E’ un posto che si vuole distanziare dall’immagine di un classico locale. Stiamo nel tempo facendo crescere vari aspetti: dall’editoria, alle mostre, alle performance… anche sperimentali. Da un lato non volevamo fare ciò che abbiamo già fatto negli passati, dall’altro, anche noi un po’ siamo cresciuti nel tempo, anche a livello di età e ci piace immaginare un posto che sia molto libero e dove tutti possano sentirsi a casa ed essere accolti nel miglior modo possibile tra giochi, sport, reading, concerti, cinema. Questa è la nostra idea.
Parliamo di Industria musicale. Quali sono secondo te i principali mutamenti negli ultimi 10 anni a Roma nell’organizzazione di eventi ed in generale nel settore?
In 10 anni sono cambiate tante cose. Innanzitutto la generazione. Sia a livello di musicisti ed artisti che di gente che frequenta club e segue la musica c’è stato di fatto un cambiamento. Si può dire in questi ultimi anni in positivo perchè, al di là di tutto, c’è stato uno sdoganamento ed un’impennata di tanti progetti che sono nati ed esplosi in maniera subitanea. Anni fa era più difficile che succedesse.
Ci sono stati parecchi tour di artisti, anche giovani e appena usciti con un disco, che comunque fanno registrare da subito sold out, tante views su YouTube. Insomma c’è stata un’accelerazione netta.
Da Roma sono uscite parecchie cose. Poi possono piacere, possono non piacere. Possono essere alcuni più interessanti da un punto di vista della qualità, altri meno, però comunque c’è stato un grosso sviluppo della scena. Sono tanti i successi. Questo è senza dubbio positivo per tutto quello che si muove intorno alla musica, che non è soltanto chi sale sul palco, il club che ospita, ma tutto il mondo che circuita attorno, chi fa il giornalista, chi scrive su carta stampata o su web, gli uffici stampa, le etichette.
Dal punto di vista della gente oggi sono cambiati un po’ i canali e le modalità di fruizione della musica in se’ e per se’. Bisogna stare un po’ al passo con i tempi per capire quali son i mood e le nuove cose che escono, perchè oggi è tutto molto più rapido e veloce.
Resta sempre valida la questione che si va a vedere ciò che si conosce. Rimane un po’ scarsa la curiosità in generale e questo, in qualche modo, credo sia legato anche al fatto che, al di là dei concerti nelle grandi venue, la musica live non è che poi sia così sviluppata oggi in questa città. Aprono sempre meno club dedicati alla musica live, che non siano per cover band, tributi o cose simili… forse addirittura uno all’anno. Al contrario di chiusure ce ne sono state parecchie, vuoi per un motivo, vuoi per un altro. E questo in una città con così tante persone tende a limitare la curiosità, a limitare il movimento. La gente va altrove. Fa altro. Questo lo vedo anche sul clubbing. Sono cambiate anche lì diverse cose. La gente va meno a ballare. Sono cambiati i modi di passare le serate.
La cosa che io mi auspico sempre è che, in una città come Roma, ci siano sempre più posti che facciano musica live. Spero che ci sia anche un clima nella città, a livello sia politico che sociale, che favorisca questo e che sia più facile mettere su un posto al di là che sia per 100 persone, 300 o 500. Spero possa essere più facile mettere su una cosa del genere. Chi viene dal basso e si scontra con la burocrazia becca sempre anche delle “sonore sconfitte”. Bisogna avere la testa dura. Non è una cosa così semplice. E secondo me anche il fatto che ci sia una così bassa nascita di club e quelli che resistono sono soprattutto posti piccoli in cui è più facile limitare le spese e tutto il resto è un dato che spero che nel futuro prossimo possa cambiare.
A proposito di cambiamenti, quali sono stati a tuo avviso quelli determinati dalla rivoluzione digitale? Quanto hanno influito la comunicazione sui Social, la smaterializzazione della musica e tutti gli altri fenomeni del digitale sullo stato attuale dell’industria musicale?
Io ormai ho 40 anni suonati. Quando mi approcciavo all’inizio a questo lavoro…. a questa passione che poi è diventata lavoro con il tempo, all’inizio era difficile reperire musica o trovarla o vederla dal vivo, ascoltare le cose nuove. La promozione veniva fatta con i flyer o con le locandine e tutto quanto. Oggi è cambiato tutto. Sembra che se non fai un evento su Facebook non funzioni niente, se non fai “parteciperò” non funzioni.
Si sono sviluppati accanto a questo tutta una serie di network digitali che nel tempo tramite visualizzazioni e tramite ascolti fanno parte del sistema di dati con cui ognuno nel suo campo soppesa il valore e la crescita di un artista, di un progetto e tutto il resto. In questo periodo c’è molta sovrapposizione e tanta offerta, anche troppa alle volte. Escono tantissimi progetti nell’arco di un anno. A malapena uno riesce a seguirli tutti e ad ascoltarli e, come dicevo prima, c’è la mancanza un po’ di curiosità per riuscire a far girare musica nuova e a far crescere dei progetti.
Questa è oggi una delle scommesse più importanti. C’è bisogno di un lavoro di ricerca e questo lavoro deve essere messo a sistema da tutte le varie parti, cioè management, booking, band, club, ufficio stampa e tutti con le idee chiare e su quello che si fa. Solo allora si va avanti se no è difficile trovare delle quadre. O il progetto è affermato o il progetto non è affermato. Non ci sono più vie di mezzo e pochi hanno la possibilità di rischiare facendo produzioni di band che ancora devono crearsi uno zoccolo duro. Questa oggi è un po’ la scommessa. Se si riescono a trovare dei partner e a fare squadra e a dare tempo ai progetti di eveolvere e di crescere, credo si possa fare un buon lavoro. Altrimenti è un perenne viaggio in tavola da surf. Becchi la prima onda sbagliata e sei subito fuori gara.
Secondo me, bisogna mettersi più a tavolino ed essere onesti ognuno con gli altri per far sì che questo sistema possa andare avanti.
Che cosa ti auspichi per il futuro della musica dal vivo in Italia? Quale potrebbe essere la migliore delle previsioni?
Mi piacerebbe vedere a Roma almeno 30, 40 strutture tra etichette, club, associazioni, qualsiasi cosa che si muove in campo musicale che riescono a fare il loro, a farlo bene, a camparci anche bene e tutto il resto.
Mi piacerebbe che tutto il sistema: da chi scrive sui giornali a chi produce dischi possa portarsi a casa la pagnotta a fine mese perchè tutti sono sempre a rischio, in bilico e pochi ci campano realmente con questa passione… in questo gioco.
Mi piacerebbe che diventasse un lavoro a tutti gli effetti per tutti qurelli che vi partecipano. Mentre al contrario, oggi è ancora un lavoro che, detto tra noi, è un po’ circense. Sei riconosciuto in un certo ambiente ma uscito da quell’ambiente sei uno che a tempo perso sta facendo mecenatismo.
Mi piacerebbe che tutta la filiera potesse garantire lavoro a tutti.
Grazie mille, Raniero!
Grazie a voi.