Abbiamo avuto il piacere di incontrare le toscane The Cleopatras che suonano un mix irriverente e frizzante di garage 60s, punk rock e rock’n’roll, Rough&Girlie style. E ci abbiamo scambiato qualche parola.
Ciao Marta, come nascono The Cleopatras?
Le Cleopatras nascono nel 1998 nella Val D’Elsa, una zona della provincia senese dove ai tempi il circuito underground era abbastanza attivo. In quegli anni in Toscana era nato un filone musicale surf-garage che è stato sicuramente di ispirazione, e in generale la scena rock’n’roll e punk rock italiana stava vivendo un periodo molto interessante.
La formazione originaria ha inciso un paio di 7” e si è presa poi una lunga pausa per ripartire nel 2008 con la line-up attuale. Al nucleo originario (di cui oggi rimangono Camilla alla batteria e Rossana alla chitarra) si sono aggiunti nuovi membri, me compresa. Queste Cleopatras “2.0” hanno inciso tre album: “Things get better” (Area Pirata, 2010), “La maledizione del Faraone” (Ammonia Records, 2014), “Cleopower!” (Ammonia Records, 2017).
Che tipo di approccio avete rispetto alla scrittura? Quale è il processo creativo?
Solitamente si parte da un riff di chitarra e/o da un giro di accordi, a volte già accompagnato da un accenno di melodia a volte no. Poi tutto il resto lo si costruisce insieme in sala prove, tranne qualche raro caso in cui l’idea del pezzo è già completa e strutturata.
Punk is not dead?
Domanda difficile! Il punk propriamente detto è un fenomeno nato in un particolare contesto, ed ha interpretato la disillusione di certi ideali, di chi si è reso conto che cambiare il mondo non era poi così facile come si pensava negli anni sessanta. In questo senso è un fenomeno generazionale, e credo che la sua forza sia stata, finora, la capacità di evolversi e di essere uno specchio dei tempi, decade dopo decade.
Oggi in larga parte è rimasto un qualcosa per nostalgici e cultori, e di questo passo se non è ancora morto lo sarà presto. Ai concerti punk l’età media non è esattamente bassa, quindi speriamo che si aprano nuovi spazi di partecipazione per i teenager, per la loro energia e per le tematiche proprie di questi nuovi tempi. La sfiducia nei loro confronti ed un certo punk “edulcolorato”, alternativo solo nelle apparenze, di sicuro non aiutano.
Band al femminile. Quali sono secondo voi le più interessanti dell’ultimo ventennio?
La mia impressione è che negli ultimi anni il coinvolgimento delle donne in campo musicale stia vivendo una crescita lenta ma inesorabile. Non si tratta infatti solo di band al femminile, ma di donne e ragazze attive nel processo tecnico, manageriale e creativo. Sogno un mondo pullulante di tecniche del suono, promoter, e musiciste apprezzate e credibili, in generale di figure femminili al di fuori dai soliti ruoli che il mondo della musica riserva loro. Su questo purtroppo c’è ancora molta strada da fare, anche in ambito underground.
Noi che di strada ne abbiamo fatta un po’, anagraficamente parlando, restiamo legate alle nostre eroine personali, alle nostre “musiciste del cuore”: Poison Ivy, Joan Jett, The Pandoras, The Trashwoman, Debbie Harry, Kathleen Hanna e anche icone pop come Go-Go’s, Bangles e Madonna 🙂
Che tipo di situazione vedete in Italia? Come è la scena oggi?
La mia percezione è che ci sia molto movimento e molta partecipazione intorno ai grossi nomi e ai grandi eventi, anche nel circuito indie e “alternativo”, ma che in realtà poi in pochi si prendano la briga di approfondire cosa c’è dietro ad un artista o ad una band (ammesso che qualcosa ci sia).
La partecipazione acritica e fine a se stessa è molto pericolosa; è vero che può tenere in vita l’industria musicale, quindi alcuni compromessi sono necessari, ma culturalmente è il baratro.
A livello di underground invece il discorso è diverso, ci sono tantissime realtà interessanti, festival, locali, circoli e associazioni che lavorano bene. Soggetti che attingono alle sottoculture e le promuovono in modo attivo e genuino.
Quali sono i trend più interessanti di quest’epoca?
Sui primi 7” delle Cleopatras è riportato il numero di casa di un membro della band, fai te… Chiaramente per un gruppo come il nostro, nato ai tempi del telefono fisso e delle audiocassette, è cambiato tutto. Le modalità di gestione e promozione si sono evolute, ma noi abbiamo abbracciato volentieri questo cambiamento.
I nuovi media offrono infinite possibilità (e ne precludono altre, come la vendita di supporti musicali “fisici”), ma occorre saperli usare. Mi pare che di queste nuove opportunità stia facendo buon uso la causa dell’empowerment femminile, che ha trovato dei nuovi modi “smart” di comunicare.Tramite l’uso intelligente e ironico dei social sta iniziando a permeare anche il mondo della moda e della musica mainstream. Questo mi pare un fenomeno davvero interessante! Nel nostro piccolo questo è sempre stato il nostro stile, “pugnace ma con ironia” (cit.), fedele ai canoni e agli stilemi di un certo rock’n’roll “di nicchia”, reinterpretato però con tematiche propriamente femminili, inconsuete per il genere.
Perchè Soundreef?
Volevo provare un’alternativa più moderna rispetto a SIAE, che mi permettesse di ricevere risposte in tempi rapidi e di gestire le pratiche online e con più trasparenza.
Come band comunque non siamo in posizione di contrapposizione rispetto a SIAE (che a onor del vero ultimamente si è modernizzata molto…potere della concorrenza?). La nostra cantante è iscritta e i nostri pezzi sono depositati col sistema di gestione parziale. Gestire questo particolare ménage, soprattutto ora che è appena agli inizi, può essere difficile. Alcuni locali ed organizzatori non lo conoscono ancora bene e temono che comporti doppi obblighi e oneri. Spero che questa ed altre situazioni legate alla gestione del diritto d’autore si normalizzino, e che ciò sia di stimolo per il circuito dei live medio-piccoli, quello che più soffre una certa burocrazia. Ne guadagneremmo in qualità dell’offerta artistica.