Gli artisti che provengono dalla scena DIY come non li avete mai visti. ‘Soundzine’ è la rubrica, a cura di Ale Kola, dedicata agli artisti che hanno fatto di autoproduzioni ed autogestione uno stile di vita. E ora hanno deciso di collaborare con noi. Aneddoti, filosofie, vita vissuta, confronti tra culture ed epoche diverse. Oggi l’intervista agli Ufomammut.
Ciao ragazzi, come mio solito, quando non capisco subito l’origine del nome di un progetto che mi interessa, la curiosità la fa da padrone. Mi dite l’origine e il perché del nome Ufomammut?
Vita – Data la sua particolarità e soprattutto l’accostamento tra due parole che, teoricamente, non hanno nulla in comune, il nome Ufomammut ha sempre portato molta curiosità tra gli addetti ai lavori ma anche tra i fan. All’estero addirittura viene capito meno visto che praticamente è in italiano, non tanto per “ufo” quanto per “mammut” che, nonostante sia simile all’inglese “mammoth”, viene recepito al 100% solo dopo le varie spiegazioni e traduzioni.
Poia – I due sono termini in contrapposizione, che descrivono lo scenario sonoro heavy psichedelico della band, e simboleggiano due concetti opposti: leggero – pesante, futuro – passato, ragione – istinto, digitale – analogico, yin – yang e così via.
Siete riconosciuti a livello internazionale, suonate un po’ ovunque, dall’Australia alla Nuova Zelanda, dalla Russia agli Stati Uniti. La solita nenia che si dice, se si nasce in Italia per fare musica (e tanto altro) non si va da nessuna parte. Nel vostro caso mi sembra che questo stereotipo lo avete letteralmente demolito. E’ corretto?
Vita – Quando abbiamo iniziato, nel lontano ’99, suonavamo un genere di musica poco conosciuta in Italia. Era un ramo del metal che all’epoca era seguito da pochi adepti mentre all’estero, grazie anche ad una maggiore cultura rock/metal, era già molto più diffuso e, di conseguenza, seguito. Perciò all’inizio dei 2000 è stato abbastanza naturale per noi suonare di più in altri Paesi europei come Belgio, Olanda, Germania, UK, etc, piuttosto che qui in Italia. Per fortuna, negli anni a venire, questo genere si è migliorato e sviluppato anche da noi, sia come presenza di pubblico ai concerti, sia come numero di band nostrane che calcano i palchi in giro per il mondo. Perciò non è sbagliato dire che Ufomammut in questo genere musicale, che comunque resta un genere di nicchia e non sicuramente mainstream, si sia fatto un nome e costruito un seguito prima all’estero e poi, forse di riflesso, anche dentro i confini italici.
Rimaniamo sull’ambito internazionale e live. C’è qualche paese in cui avete un feeedback particolare e/o dove avvertite delle differenze notevoli con il resto dei luoghi da voi visitati in tour?
Vita – Ci siamo trovati bene in tutti i Paesi dove fino ad ora siamo stati, anche e soprattutto perché andandoci come band, e non da turisti, normalmente si viene trattati bene (a volte quasi coccolati) sia dal pubblico che dai promoter e/o addetti ai lavori. Sicuramente ci sono dei Paesi dove, sin dalle prime apparizioni live, si è instaurato una particolare affinità, mentre con altri abbiamo avuto bisogno di più tempo per farci apprezzare in pieno. Con tutta onestà devo dire che ci sono anche dei Paesi dove non c’è quasi mai stato un bel feeling, spesso portato da una non ottimale gestione e/o organizzazione dell’evento, non sicuramente dal pubblico.
Urlo – Come dice Vita, le situazioni meno favorevoli si hanno quando si nota poco interesse da parte dei promoter.
Ma questo è successo più di una volta anche in Italia, non solo all’estero.
Ma ogni volta che saliamo sul palco e sentiamo la forza che il pubblico ci trasmette, tutto diventa fantastico.
State portando in giro il vostro ultimo lavoro, “8”, ci volete raccontare della sua genesi e cosa ci dobbiamo aspettare da questo nuovo album?
Vita – “8” per varie ragioni è più un punto di partenza per la band rispetto che un punto di arrivo, una di queste è sicuramente l’aver cambiato il modo di registrarlo rispetto ai precedenti dischi. Registrare in presa diretta tutti insieme ha migliorato l’intesa, che già comunque era buona, tra di noi come band, ma ci ha fatto sicuramente anche crescere come musicisti.
Poia – Quello che volevamo riprodurre su disco, anche se sapevamo che è molto difficile da fare, è l’energia che la band sprigiona quando sale sul palco. Le canzoni di “8” sono più articolate, potenti e a volte più veloci rispetto ai nostri canoni, hanno una maggiore intensità e sono molto più “vere” essendo state registrate guardandoci negli occhi come succede suoniamo dal vivo.
Urlo – Chi non ha mai visto un concerto di Ufomammut, ascoltando “8”, può sicuramente avere un’idea più precisa di cosa la band sa dare sul palco.
Ci tengo a precisare che per il sottoscritto in primis, e poi ovviamente anche per tutti gli altri miei colleghi, avervi con noi nella scuderia SR è un piacere non indifferente. Come vi trovate in questa avventura? Gli organizzatori di eventi Doom/Metal sono un pochino più ostili alle novità giusto? (… un po’ di sarcasmo non fa mai male – sic)
Vita – A parte il sarcasmo che, è vero, non fa mai male, io non parlerei tanto di ostilità da parte degli organizzatori quanto di novità e libero mercato. Soundreef è comunque ancora una realtà relativamente nuova che sta crescendo sempre più e che va “contro” le altre società di Collecting che, sia in Italia che all’estero, monopolizzavano il mondo musicale e artistico in generale. Mi riferisco alla SIAE, la tedesca GEMA, la francese SACEM e via dicendo. Poco per volta i promoter si stanno abituando al fatto che ora c’è la possibilità di scegliere dove registrare e a chi affidare i diritti delle proprie canzoni, senza dover sottostare ad un monopolio che, fino a pochi anni, fa era totale e sembrava difficile da “combattere”. C’è comunque ancora un largo margine di miglioramento che potrà essere raggiunto solo tramite una stretta collaborazione tra musicisti e SR, che tra l’altro non è mai venuta a mancare. Personalmente, la risposta alla domanda “come vi trovate in questa avventura” la può dare il fatto che io non sono iscritto a SR solo come Ufomammut, ma anche con le mie altre due band Sonic Wolves e Rogue State. Fiducia totale oserei dire.
Urlo – Il punto di forza di Soundreef è la comunicazione.
Se c’è un problema si risolve parlando.
E non è una cosa da poco.