Gli artisti che provengono dalla scena DIY come non li avete mai visti. ‘Soundzine’ è la rubrica, a cura di Ale Kola, dedicata agli artisti che hanno fatto di autoproduzioni ed autogestione uno stile di vita. E ora hanno deciso di collaborare con noi. Aneddoti, filosofie, vita vissuta, confronti tra culture ed epoche diverse. Oggi l’intervista ad Emiliano, in arte Gipsy Rufina.
Ciao Emiliano, insomma, raccontaci da dove viene questo nome, “Gipsy Rufina”.
I miei amici mi hanno sempre chiamato Gipsy fin dai tempi della scena punk nei primi anni 90.
Semplicemente un soprannome. Rufina lo ho aggiunto io perché mi divertiva: viene da S. Rufina, un piccolo paese dove ho passato la mia infanzia.
“Zingaro che viene da S.Rufina”, come dice il mio amico Bob Corn.
Sei un musicista che predilige sicuramente la dimensione live, o meglio quella “on the road”, a vedere dai tuoi concerti, hai fatto date un pò ovunque in tutta Europa, anche in paesi poco solitamente poco “battuti” musicalmente. Raccontaci delle esperienze girovaghe, anedotti ed episodi successi durante i tuoi infiniti tour…
All’epoca mi sono ritrovato a voler suonare un genere che non era molto popolare come lo è negli ultimi anni. Il bisogno di fare musica e viaggiare ed inspirato da una sorta di vagabondaggio romantico proveniente da tutta una serie di ascolti musicali, libri, e culture ha fatto sì che mi ritrovassi a viaggiare a tempo pieno, scrivere canzoni ed andarle a suonare nei posti più disparati. Sì, ho suonato in Europa un po’ ovunque: dal Portogallo alla Russia, dalla Lapponia ai Balcani e tutto quello che c’è in mezzo, così come in Sud America.
Tra le tante esperienze ricordo sempre con molto piacere le traversate su vecchi treni sovietici nell’Est, dove per la gente che viaggia per ore infinite non è cosa comune incontrare un cantautore folk sul treno che va a suonare magari in Crimea. Ritrovarmi quindi a suonare sul treno per persone entusiaste e curiose per il fatto che venissi da così lontano.
Tu ti sei formato nell’hardcore-punk, primi fra tutti i Redemption. Gruppo straight-edge romano attivo negli anni ’90. Un pò di storia di quella vita, e come sei approdato alla dimensione di adesso, semplicemente voce e chitarra acustica…
Sono cose che mi hanno formato e che rimangono tutt’ora nel mio modo di essere e di fare musica.
I Redemption è stata una delle mie band più importanti, siamo cresciuti insieme e siamo rimasti amici di vita con alcuni di loro anche se abbiamo preso strade differenti.
Continuare ad esprimermi con la musica era una mia necessità e farlo da solo era il modo più libero e semplice che potesse esserci.
Al giorno d’oggi, com’è essere un musicista underground, spazi, connessioni, amicizie, contatti, è tutto più connesso rispetto a prima, che ne pensi?
Questo aspetto di dover stare ore davanti ad uno schermo per poter viaggiare con la musica poi lo soffro parecchio ed è un controsenso. La convivenza tra il mantenere un modo di fare indipendente o underground e il dipendere dalla rete ci ha tolto molta passione nelle cose e privato di tante emozioni. Eravamo senza internet all’epoca, eppure funzionava. Lettere, telefonate e l’emozione di andare in tour senza sapere cosa ti aspettasse.
Come sei arrivato a Soundreef, e cosa ti ha fatto scegliere questa Collecting?
Per caso, tramite un vecchio amico: tu!
Ancora devo scoprirlo bene dato che ci sono da poco ma mi sembra una realtà importante a cui dare una chance data la chiarezza con la quale propone di gestire i diritti del live, ad esempio, in un epoca in cui la musica d’autore è svalorizzata a causa della rete.