Gli artisti che provengono dalla scena DIY come non li avete mai visti. ‘Soundzine’ è la rubrica, a cura di Ale Kola, dedicata agli artisti che hanno fatto di autoproduzioni ed autogestione uno stile di vita. E ora hanno deciso di collaborare con noi. Aneddoti, filosofie, vita vissuta, confronti tra culture ed epoche diverse.
Intro di Antonello Cresti:
Da sempre eccentrici rispetto alla scena metal estrema da cui avevano mosso i primissimi passi, gli Aborym giungono con questo album, dopo un lento ed inesorabile processo di avvicinamento, all’album che li consacra come nomi di riferimento della scena rock estrema, a livello mondiale. Un lavoro in cui quello che si è perso a livello di ferina istintività, lo si guadagna in maturità e consapevolezza, adesso guardando negli occhi, in una sfida inter pares, anche il guru Trent Reznor. Suoni potenti, rallentati, e poi improvvise sfuriate in una colonna sonora della decadenza dei nostri tempi. Un album che ricorderemo a lungo, a dimostrazione che anche in Italia si può essere esempi di professionalità. Abbiamo intervistato Fabban, Fabrizio Giannese, mastermind dietro Aborym.
Siete in giro da diverso tempo, avete all’attivo ben 7 album, l’ultimo prodotto da un certo Guido Elmi (Vasco Rossi, Stadio, Gaznevada, Skiantos), come guest nell’ultimo disco niente di meno che, tra i vari che ci sono, presenzia Sir Quirin, “Ministry”. Insomma ce n’è di che parlare…
E’ un disco di rottura. Trasversale, arrogante… sfacciato, un disco camaleontico, con un impressionante ventaglio stilistico ed è senza dubbio il disco che chiude un ciclo e ne apre un altro per Aborym. E’stato scritto e concepito immediatamente dopo l’uscita di “Dirty” nel 2013 e ha subìto una lunga gestazione in pre-produzione che mi ha permesso di lavorare parecchio sui suoni e sui tanti strumenti. Durante i tre anni tra songwriting e preproduzione ho rimescolato le carte, chiudendo con i precedenti musicisti e ho iniziato ad arrangiare le mie demo con Danilo Valentini, il chitarrista che è entrato in pianta stabile poco prima di iniziare a registrare in studio.
Da questo disco volevo e credo di aver ottenuto principalmente due cose: abbracciare un approccio più maturo, dondolando tra isterìa sperimentale, chaos, pathos e gusto per la melodia da una parte e fondere il mondo dell’Eurorack in un contesto più acustico dall’altra. Quando fai musica con le macchine tendi a perdere quella sensazione di fisicità che provi quando suoni una chitarra o una batteria, ad esempio, e ho spinto forte sulla combinazione tra le macchine e gli strumenti acustici. Ho dato molto spazio all’accidentalità, ovvero a soluzioni assolutamente non premeditate, soprattutto quando ho lavorato sui modular synth: di solito scrivo sempre tutti in midi per poi passare tutto nei modulari e le combinazioni oltre ad essere infinite sono difficilmente riproducibili il giorno dopo in cui le hai fissate… quindi i work-in-progress sono sempre stati molto dinamici.
Le combinazioni cambiavano giorno dopo giorno… E’stata come una lunga jam session che è durata mesi. Questo è uno dei pregi o difetti del mondo dell’Eurorack: oggi vedo che tanti producer tendono a fare una sorta di gara a chi ha più moduli; io preferisco sempre lavorare sfruttando al meglio i moduli o i sintetizzatori che conosco bene e che sono in grado di gestire. Da questo punto di vista ragiono in modo old-style; preferisco mettere le mani sulle macchine che so di poter gestire in base alla loro funzionalità, che siano modulari, Buchla o Synth polifonici questo non importa. Mi interessa ciò che le macchine possono tirare fuori e ho bisogno di poterle dominare e come dico sempre, alla fine dei giochi “se una cosa suona bene, usala”.
Tornando alla tua domanda… Guido Elmi ha lavorato con noi come supervisor producer e il suo apporto è stato importante, sia per noi che per il disco. Guido è un grande professionista e ci ha accompagnati in questa mutazione stilistica, proiettandoci verso un prodotto artistico che punta verso l’alto, verso un pubblico più ampio e variegato. Oltre a Guido, abbiamo lavorato con un altro bravissimo producer durante le sessioni ai Subsound Studios (il disco è stato registrato in tre studi diversi non a caso), Luciano Lamanna, abbiamo realizzato gran parte delle incisioni di chitarra, basso acustico, batterie acustiche e voci con Emiliano Natali ai Fear No One Studios e abbiamo affidato il mixaggio e mastering a Marc Urselli (Lou Reed, Mike Patton, John Zorn… nonché vincitore di 3 grammy come sound engineer negli States) a New York, Eastside Sound Studios. Sin dei Ministry è uno dei tanti musicisti che abbiamo ospitato su Shifting.negative ed è inutile che ti dica che per me che sono da sempre un fan di questa storica formazione è stato un’onore poterlo avere a bordo.
Oltre a lui nel disco ci sono tantissimi altri guest.. Ricktor di The Electri Hellfire Club, Greg Watkins di Static of Masses, lo stesso Luciano Lamanna, Joel Gilardini, Pier Marzano, Cain Cressall di The Amenta, Ben Hall, Victor di Dope Stars Inc., Youko Heidi…
Che tipo di difficoltà avete incontrato (se ci sono state) riguardo il vostro genere musicale in un paese come l’Italia? Avete avuto mai problemi di censura o altre simili anacronistiche storie legate al “bel paese”?
Cerco di gestire questa band con un’impostazione un po’ più “internazionale” evitando di risultare italiani o “provinciali”, ma siamo comunque una formazione italiana (ora al 100%, in passato avevamo in line-up artisti stranieri.. Bard G.Eithun degli Emperor, lo stesso Csihar…) e per forza di cose dobbiamo fare i conti con la realtà di questo paese pieno di contraddizioni. Un paese in cui ci sono tanti artisti validissimi e invidiati all’estero e i soliti insormontabili problemi legati alla diffusione della musica, della logistica e dell’organizzazione di concerti, location, booking… Internet in tal senso ha da un lato peggiorato le cose e purtroppo la massificazione delle professionalità specifiche crea di fatto molti problemi poiché chiunque online può essere ciò che vuole, dire ciò che vuole, fare ciò che vuole. Lo stesso vale per i media.. magazine, webmag, zines.. radio.. E’ un gran casino li fuori.. Io cerco di fare musica tentando di non essere infettato.
Riguardo a collaborazioni nel vostro percorso musicale avete veramente spaziato, addirittura Attila (Mayhem). Avete legami con la scena Black Metal scandinava? E se si in che misura?
Le radici di questa band sono black metal e in passato per forza di cose eravamo molto in simbiosi con musicisti e addetti ai lavori della scena scandinava. In passato nella nostra line-up ci sono stati Bard G.Eithun, ex Emperor, Preben Mulvik dei Mysticum, lo stesso Csihar… Ora Aborym non è più un gruppo black metal e fatta eccezione per alcuni amici di lunga data non ho più a che fare con tutto questo. Mi interessa suonare altro, mi interessano altre cose. Ognuno deve suonare qualcosa che muove delle corde. Quella è una scena musicale che reputo satura, non riesco ad essere attratto da diversi anni ormai. Tanti soldi che girano e pochissima creatività. Se devo scegliere tra un disco dei Mayhem o un classico di Iggy Pop metto su vinile di Iggy Pop, senza alcun dubbio.
In una recente intervista su Radiogas hai anticipato un’incredibile news riguardo una collaborazione con Keith Hillebrandt (Nine Inch Nails, David Bowie, U2…). Potresti parlarcene? E come è nata questa collaborazione?
Keith Hillebrandt ha realizzato un remix di un brano di Shifting.negative, “For a Better Past” e mi ha commissionato un remix, su cui sto lavorando assieme al producer-sound engineer Andrea Corvo, di un brano del suo ultimo album “Welcome to Subterranean Bangkok”, “FarWaySai”. Entrambi i brani completeranno il Volume 1 di una triolgia che si intitolerà “Something for Nobody”. Tre vinili in edizione limitata, una sorta di work-in-progress sessions di materiali realizzati nell’arco del 2017 sia a nome Aborym che a nome di altri artisti che hanno remixato e manipolato alcune nostre canzoni. Nel Volume 1, oltre al remix di Keith Hillebrand ce ne sarà uno dei Deflore, due remix di Aborym di un brano di Deflore e di Angela Martyr e la prima parte di una soundtrack (“Something for Nobody” appunto) che sto scrivendo per un cortometraggio, per film e alcuni corti online. Il tutto verrà prodotto a breve da Laurent Clèment, produttore artistico di Dead Seed Prod. Questa collaborazione con Hillebrandt è nata casualmente: siamo in contatto da tempo e spesso uso alcune library di samples e suoni che mi manda dalla Thailandia. Ha ascoltato Shifting.negative e pare gli sia piaciuto moltissimo. Il remix di “For a Better Past” che ha realizzato è incredibile. Semplicemente incredibile…
Vi siete da poco iscritti con Soundreef. Come siete arrivati a conoscerci e come vi state trovando?
Sono passato su Soundreef perché ho letto in giro che l’ha fatto anche Gigi D’Alessio eh ehh ehhh.. Scherzi a parte, il nostro producer Andrea Corvo iniziò a parlarmene qualche mese fa e mi consigliò di informarmi. Dopo un breve periodo di test ho iniziato a fidarmi e ho deciso di chiudere con SIAE e di registrare tutti i miei brani su Soundreef. Mi trovo bene.. mi piace molto il fatto che dietro ci sono delle persone disponibili.. Se hai un dubbio ci sono sempre. C’è un rapporto più umano.. Credo sia stato un cambiamento vincente poiché credo sia tecnicamente possibile ripartire l’uso della musica in modo analitico. Ciò che viene suonato và pagato e Soundreef porta avanti questo semplice concetto. Sei in grado di monitorare dove sta suonando la mia musica, quanto ci sto guadagnando e quando verrò pagato.. c’è proprio una dashboard sul sito.. Basta registrarsi, loggarsi ed è fatta.. Posso monitorare analytics, dettagli sui passaggi radio, quante volte viene suonato un brano e dove.. Esiste anche una sorta di localizzatore in grado di individuare dove è stata suonata la mia musica con i dettagli della stazione radio o webradio. Sono molto fiducioso e spero che il servizio diventi sempre più performante e sempre più indipendente dal monopolio SIAE. E mi auguro che in molti, soprattutto radio, tv e organizzatori di concerti passino su Soundreef e lavorino con artisti Soundreef.
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