I Sickabell sono una rock band proveniente da Chieti che ha appena pubblicato un album curato, ricco e complesso dal titolo “Valiant”. Abbiamo avuto il piacere di incontrare Giuliano Vernaschi, voce della band, e fargli qualche domanda. Ecco l’intervista.
Ciao Giuliano! Come, dove e quando nascono i Sickabell?
Ciao, i Sickabell sono nati… in un sogno. Ho sognato di sorvolare la città del film “The crow”. Nella metropoli nera e sudicia, sul fianco di uno dei suoi grattacieli, un mega display mostrava la foto dei Queen e, sotto, due parole: “Sickabell. Valiant.” Ho analizzato la prima e ho notato che significava una sorta di “rifiuto per la campana”: niente male per uno come me che vive in centro fra tre campanili! Poi mi son ricordato che “Valiant” vuol dire “coraggioso, valoroso”. Così ho capito quale sarebbe stato il nome della mia band e che avremmo dovuto essere impavidi per raggiungere dei traguardi. Concretamente, siamo nati nel 2011 tra Chieti e Rimini, due luoghi opposti sotto ogni punto di vista, coerentemente con i nostri ossimori stilistici.
“Valiant” è il titolo del vostro album, appena uscito. Di che tipo di album si tratta e che cosa rappresenta nel vostro percorso?
È un concept album avvincente da scrivere, difficile da suonare e capire. È il nostro atto di audacia che quel sogno chiedeva di compiere. L’abbiamo fatto guidati dal solo bisogno di esprimere le cose più indicibili nel modo più viscerale. Viviamo in un mondo cinico e opportunista: noi siamo stati sinceri, questo è coraggioso. La stessa copertina di Francesco Romoli, a nostro avviso, rappresenta la figura di un bambino che, con la sua naturalezza, taglia e infrange le righe piatte e dritte dell’omologazione e del politicamente corretto.
Il vostro è un sound ricco, complesso e articolato che sembra andare deliziosamente controcorrente rispetto a molte produzioni contemporaneee. Come nascono i vostri brani?
Nascono da pura e spontanea necessità creativa, dalla voglia di sublimare in arte uno stato d’animo inquieto. Non è mai capitato tra noi che Rino, Ivan, Marco, io o Yuri, volessimo fare una canzone partendo da un giro di accordi preconfezionato. Tutti abbiamo poi, coi nostri strumenti, navigato sempre alla ricerca dell’arrangiamento inusuale, tenendo l’anima rivolta ai grandi del rock anni ’70-’80-’90.
Ne è scaturito un disco allegorico raccontato dalla fine all’inizio, dove il degrado dei rapporti umani conduce ad una serie di derive patologiche che si concludono con la terza guerra mondiale. Il pianeta si consuma in una fantomatica esplosione e due sopravvissuti su una navicella lo guardano nostalgicamente bruciare, ricordandone l’insensatezza e sognando un nuovo inizio. È tutto simbolico, una esorcizzazione onirica delle nostre paure sociali. Insomma, non è di certo un disco da cocktail in spiaggia “sotto il sole di Riccione”.
Esiste secondo voi un momento in cui una band capisce che sta raggiungendo i propri obiettivi? Per voi quali sono questi obiettivi?
Il nostro obiettivo è fare ancora dischi (abbiamo già scritto altre 30 canzoni) ma soprattutto mantenere questa autenticità compositiva nella dimensione live e non nascondo quanto sia arduo. Abbiamo suonato in giro, anche con altre formazioni, per circa 15 anni. Vorremmo fare una cosa diversa, per noi. Abbiamo realizzato l’audiolibro “creAtur” (ascoltabile gratis su YouTube) che racconta il concept di “Valiant”: stiamo cercando una compagnia di teatro sperimentale che voglia metterlo in scena e suonare dal vivo con loro per piccoli teatri. Facciamo un appello qui per le compagnie che fossero interessate a sviluppare l’idea: is there anybody out there?
Come vi sembra oggi la scena in Italia? Quali sono le proposte che vi sembrano più interessanti e perché?
Come hai detto tu, siamo in “deliziosa controtendenza”, dunque non vediamo di buon occhio il panorama musicale italiano. Qui mi limito a una risposta personale: Germanò mi sembra tra i pochi a essere intimamente sincero, adolescenziale e maturo al contempo. La musica deve emozionare con sentimenti veri. Sai perché ci riesce? Perché è sé stesso: un vero atto eroico ai nostri tempi.
Avete un sound fortemente internazionale. Se poteste scegliere un grande Festival Europeo in cui essere inseriti in ‘line up’ quale scegliereste e perché?
La spariamo grossissima: il Reading in UK. Lì il pubblico ha nel sangue più rock di chiunque altro. Saremmo noi ad applaudire a fine concerto.
Perché Soundreef?
Perché l’arretratezza e la burocrazia cervellotica sono tenaglie che imbrigliano l’arte e gli artisti. Su Soundreef, con pochi click fai tutto e ti senti finalmente nel 2018. Poi è bellissima l’idea dell’instore network, iniziativa realmente d’aiuto per congiungere il pubblico alle band emergenti come noi. E, guarda un po’, a pochi mesi dall’iscrizione, abbiamo persino lo spazio per un’intervista!