Saverio Principini è un produttore e arrangiatore italiano che vive a Los Angeles. E’ stretto collaboratore di Vasco Rossi, oltre ad aver collaborato con molti dei grandi nomi della musica italiana: Adriano Celentano, Enrico Ruggeri, Laura Pausini, Eros Ramazzotti e molti altri. Ha da poco scelto Soundreef per la gestione della propria musica e abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche parola con lui.
Parliamo di te, ho letto di te ed il tuo percorso è stato un percorso lungo e pieno di esperienze, vorrei proprio partire dall’inizio. Come ti sei avvicinato alla musica? Quali sono stati i tuoi primi passi? Quali sono state le prime soddisfazioni che ti sei tolto?
Ho cominciato a far musica molto molto giovane. Già a 14 anni iniziavo a suonare il basso nel primo gruppo del quartiere e, poco dopo, fondavamo una band Heavy Metal a Roma che si chiamava gli Astaroth, uno delle prime in Italia per quel che riguarda il genere.
Per noi era una grande esperienza.
Fare musica – l’ho capito dal primo momento – era la mia grande passione e quello era esattamente quello che volevo fare per il resto della mia vita. La visione era molto chiara già dai primi anni.
Facevate già musica vostra?
Sì, assolutamente. Fare musica per me era, non solo suonarla, ma anche comporla.
Non ho mai imparato una canzone di altri gruppi, non ho mai suonato cover, ho cominciato insieme ai ragazzi della band a scrivere dei brani che all’inizio ovviamente erano del genere progressive steep metal molto complessi e particolari e, fra l’altro, da auto-didatti.
Ci avventuravamo veramente in un oceano sconfinato in cui non sapevamo in che direzione stessimo andando, però effettivamente in qualche maniera le cose arrivano.
La prima grande soddisfazione è stata, grazie ad un provino registrato in uno studio di fortuna a Roma, essere notati da un produttore in Olanda che aveva già lavorato con i Mercyful Fate e altri gruppi europei di Heavy Metal che andavano molto forte.
Ci ha chiamati e ci ha offerto un contratto discografico per fare un disco in Olanda.
A 16 anni, o 17, ero già in Olanda a registrare un disco nello studio dove fino al giorno prima c’erano stati i Judas Priest. E quindi un primo grande sogno che si avverava, e un primo segnale che effettivamente quella poteva essere la mia strada.
Poi tra i 17 e i 18 anni abbiamo fatto una tournée europea per promuovere il disco che era un vinile di 4 brani per la Rave on Records e abbiamo fatto un tour europeo tra piccoli club e alcuni palchi più grandi dove abbiamo suonato e condiviso festival con i Metallica e gli Anthrax. Abbiamo persino fatto da apertura ai Motörhead, ed è stata una grandissima soddisfazione
E poi che è successo? Come hai cominciato a lavorare con Vasco e con altri grandi nomi che immagino siano arrivati di conseguenza, oppure è un percorso che è partito al contrario e sono arrivati prima tanti altri nomi e poi hai iniziato a lavorare con Vasco?
Praticamente è successo così: la casa discografica fu venduta ad una major che decise di mandare via tutti quanti i gruppi. Noi eravamo senza contratto e quindi abbiamo deciso, come band, di trasferirci negli Stati Uniti.
Io avevo 19 anni. Decisi di fare questo grande passo con il gruppo sperando in un contratto. Arrivammo negli Stati Uniti e le cose non funzionano proprio come volevamo e, dopo due anni di grande impegno e di grandi sforzi, il gruppo si sciolse.
Io sono rimasto a vivere negli Stati Uniti, a Los Angeles, e ho cominciato a fare altri tipi di percorsi, incluso quello del lavoro in studio di registrazione.
Ho iniziato a lavorare tra diversi studi ed è cresciuta anche la passione per quel tipo di lavoro e, coincidentemente, attraverso un’amicizia in comune, mi venne a cercare Guido Elmi che era il produttore di Vasco, lo storico produttore di Vasco, e mi comunica questo suo desiderio di fare delle registrazioni a Los Angeles, con dei nomi importanti della musica, e mi chiedono se io conosco dei musicisti importanti.
Girando per i club a Los Angeles, avevo conosciuto Vinnie Colaiuta che, come molti sanno, era lo storico batterista di Frank Zappa… insomma ha fatto tanto, è incredibile! E praticamente Vinnie mi ha aperto un po’ la porta a tutti quelli che erano i grandissimi turnisti del momento della scena di LA quindi da Neil Stubenhaus, Mark Thompson, e Randy Jackson e tantissimi altri.
Ho messo su una piccola agenzia di casting, in cui facevo organizzazione e produzione di dischi. Con Guido mi trovai da subito molto bene e loro ovviamente erano molto contenti.
Di che epoca parliamo?
Era il 1991 la prima volta che sono venuti a LA. Dopo di che, sono praticamente venuti ogni anno o per registrare il disco o per fare delle pre-produzioni o per fare dei video.
Così è partito questo rapporto con Vasco che nel tempo si è sviluppato anche artisticamente perché ovviamente nel frattempo continuavo a suonare e gli facevo sempre sentire brani dei miei gruppi.
Hai avuto altre band, quindi?
Si, nella mia carriera musicale sono passato attraverso altri 2 o 3 gruppi. Solo intorno ai 33 anni ho deciso di smettere con le band e di concentrarmi solamente sul lavoro di produzione, anche perché, a quel punto, si era un po’ sparsa la voce che io ero diventato un ponte tra l’Italia e gli Stati Uniti e sono cominciati ad arrivare un po’ tutti: da Eros Ramazzotti a Laura Pausini, a Adriano Celentano… a volte anche lavori fatti a distanza, Adriano Celentano ad esempio non veniva a Los Angeles. Insomma poi guardando indietro possiamo vedere tantissimi nomi e tantissimi dischi, forse 300 dischi fatti a LA in varie vesti da produttore esecutivo a direttore artistico ad arrangiatore a casting e così via.
Ovviamente però, il rapporto con Vasco è rimasto sempre il più speciale, un po’ perché è iniziata una forte stima ed una forte amicizia tra noi.
Vasco aveva e ha un animo rock che nessun altro degli italiani con i quali ho lavorato aveva.
Parlavate più la stessa lingua?
Esattamente, c’era una forte un’affinità.
Ho lavorato bene con tanti. Ad esempio, uno dei primi artisti italiani a venire a Los Angeles a fare i dischi fu nel ‘90 Gianni Bella. E mi trovavo ovviamente molto bene anche con lui, però quando arriva Vasco che parla una lingua musicale che è quella più vicina a te chiaramente cambia un po’ la dimensione, quindi da un certo punto in poi abbiamo cominciato a collaborare anche artisticamente.
Con lui ho scritto. Gli ho proposto una musica che per me era molto importante che è diventata “Sto Pensando a te”. Dopo la scrittura di quel brano chiaramente, che è stato un grande successo in italia penso sia stato il brano più trasmesso in radio nel 2009 2010, si è aperta un po’ una porta ed è nata la curiosità di sapere che si potevano fare delle altre collaborazioni artistiche e soprattutto è nato un bellissimo viaggio. Abbiamo aperto insieme uno studio di registrazione che è lo Speakeasy Studio di LA, dove poi negli ultimi 12 o 13 anni abbiamo registrato e scritto tantissima musica: dal “Manifesto futurista della nuova umanità” a “Cambiamenti”.
Tra i brani con Vasco, ce n’è qualcuno che ti è rimasto di più?
“I soliti” è stato un brano molto importante tra quelli scritti con Vasco. Me lo ricorderò sempre perché lui lavorava a questo testo in maniera viscerale e ad un certo punto era proprio nell’impegno totale e mi chiama alle 4 del mattino dicendo – “Vieni subito che ho trovato il testo”. Io alle 4 del mattino ero nel sonno totale e gli ho detto – “Sto dormendo. Sentiamoci domani”- ho attaccato il telefono, dopo di che ci ho pensato un attimo e mi sono detto -”Ho attaccato il telefono in faccia a Vasco Rossi, non va bene!.
Lo chiamo e gli dico -”No Vasco, scusa, ero nel sonno più totale, mi vesto ed arrivo.”- alle 4:30 ero lì ad ascoltare questa prima versione, cantata così su un demo all’istante e quella è diventata “I Soliti”.
Grandi emozioni passate insieme. Veramente una collaborazione che ad oggi continua a dare ottimi frutti. Ormai credo di aver collaborato a livello di arrangiamenti e pre-produzioni scrittura per lo meno a due dozzine di canzoni tra i brani di vasco, poi come scrittura di quelli già usciti direi che sono 7-8 brani o una cosa del genere, ed ovviamente ci sono altri brani in preparazione.
Ma starà a Vasco decidere come e quando parlarne.
Mi colpisce sentire questo racconto, e mi colpisce sentire di due artisti che dopo tanti anni di collaborazione e di carriera hanno ancora quel fuoco sacro che li fa svegliare alle 4 di mattino per andare a lavorare su un brano. Questa è una cosa bellissima.
Sì, assolutamente, e non so quanti ce ne siano così ancora, perché purtroppo c’è la tendenza a pensare che il punto di arrivo di una carriera artistica sia avere il successo, fare dei soldi per poi comprarsi delle Ferrari e vivere sulle colline piacevolmente viaggiando con aerei privati.
In realtà non è così perché, se il desiderio artistico è vero, il vulcano non si spegne mai. Il punto di arrivo è continuare a creare ancora un’altra canzone, perché è un desiderio interiore, è una necessità di espressione primordiale. Se non avviene il processo di terminazione di questo peso che si ha dentro non si vive bene. L’unica cosa che può fare un artista è rispondere a questa chiamata e continuare ad essere quello che è.
Senti… Tanti anni fa ti sei trasferito dall’italia agli USA. Quali sono le grosse differenze tra un Paese come gli Stati uniti ed un Paese come l’italia da un punto di vista musicale?
Eh… questa è una bella domanda. La risposta è complessa.
In Italia la musica alternativa fa una gran fatica, ad esempio, ho avuto la fortuna di poter ri-arrangiare e produrre un brano di Enrico Ruggeri ovvero “Il treno va” che era già un brano edito nel suo disco, di cui ho fatto un nuovo arrangiamento più rock e più californiano e lui ne ha fatto un video. Anche Ruggeri è veramente un artista rock!
Ha avuto una grande difficoltà a farsi degli spazi perché comunque i generi musicali che non sono Mainstream fanno fatica a trovare spazio in radio o nei reality show. E’ un vero peccato perché così è più difficile che gli artisti riescano ad esprimersi quello che sono.
Cercano sempre di emulare qualcun altro e questa cosa non può andar bene: è un po’ un serpente che si morde la coda.
Negli Stati Uniti è vero che esiste questo fenomeno, ma è anche vero che ci sono così tanti mercati alternativi. Lo dico anche guardando semplicemente le categorie dei Grammy: da una decina di anni sono un membro votante dell’Academy e quindi, in questi giorni, dovrò votare per i nuovi grammy. Tra i diversi Grammy, c’è, ad esempio, miglior gruppo rock, perchè il rock ancora esiste e quindi escono fuori gruppi come i Greta Van Fleet o Rival Sons che sembrano i Led Zeppelin degli anni ‘70 e hanno un seguito.
L’altra sera sono stato ad un loro concerto ed era sold out. Esiste un gruppo di quel genere musicale, e così per tutti gli altri generi musicali. Negli Stati Uniti forse essendo più grandi hanno ancora diversi mercati e questa è una cosa molto importante perché non si possono abbandonare dei discorsi che magari partono da molti anni fa. Come si di colpo non facessi più musica classica perchè non vende più e non c’è mercato, cioè sarebbe un’assurdità, un genere deve continuare ad esistere e, purtroppo, vedo un po’ questa restrizione mentale sopratutto dalle case discografiche, cioè non comprendo perchè le case discografiche, le Major in Italia non possono creare delle sotto-etichette da loro gestite dove anche a fondo perduto possano però dar spazio alla creatività degli artisti giovani d generi alternativi dal folk al rock, che abbiano qualcosa da dire. Invece purtroppo si punta solo ai grandi spazi radiofonici. A Sanremo alla fine vince un artista e poi X-Factor, Amici e tutti questi reality show hanno creato un altro tipo di artista che non è quello naturale: è più una costruzione.
Tutto questo discorso ci conduce diretti all’ultima domanda che voglio farti. Che cosa consiglieresti ad un artista, un autore un compositore, un artista in generale che inizia ad oggi un percorso in musica. Secondo te qual è l’attitudine giusta con cui intraprendere un percorso musicale?
Oggi come oggi, se io dovessi essere un 14enne o un 15enne per assurdo, proprio per l’immensa quantità di materiale reperibile che avrei attorno, basta pensare alle piattaforme streaming, il mio consiglio sarebbe veramente di sentire tutta la musica che si ha dentro non la musica che c’è fuori.
Quella che c’è fuori è già stata fatta.
Ho apprezzato molto, e può sembrare assurdo è quasi una contraddizione, un commento durante la diatriba che c’è stata ultimamente tra Billie Elish e i Van Halen.
Durante un’intervista in TV lei ha detto che non sapeva chi fossero i Van Halen ed il figlio di Ed Van Halen è dovuto andare a difenderla da persone che l’hanno massacrata sul web perché lei non sapeva chi fossero i Van Halen, ma ad un certo punto una ragazza di 15/16 anni non lo sa sempollicemente perché non li ha vissuti.
Certo… bisognerebbe comunque avere un background di cultura musicale, però allo stesso tempo lei è riuscita a creare qualcosa di così originale e nuovo perché proprio non stava ad ascoltare null’altro di quello che c’era intorno, che era esistito.
Quindi direi che il consiglio principale per un artista nuovo è sentire la musica che si ha dentro, cercare la fonte della musica, fare un percorso che sia prima un percorso interiore e poi può diventare un discorso esteriore, prima di creare un look prima di farsi i tatuaggi e cercare la giacca perfetta da mettere sul palco bisogna veramente cercare la melodia perfetta che si ha dentro e quello che si vuole dire, questo per me è il punto principale sia per gli autori sia per gli artisti, perché anche gli autori secondo me dovrebbero comunque non pensare a questo come un mestiere e quindi alla ricerca di costruire la hit perfetta radiofonica ma piuttosto sentire e cercare questa musa ispiratrice questo diavoletto istigatore che si ha dentro e che può offrire la strada e può, possiamo dire, fare luce sul percorso da intraprendere.