I Rebel Rootz sono una delle band reggae più interessanti in circolazione. Abbiamo avuto il piacere di fargli qualche domanda e di farci raccontare il loro punto di vista sulla scena di questi anni.
Ciao ragazzi, come e quando nascono i Rebel Rootz?
Ciao, i Rebel Rootz nascono nel lontano 2010: una sala prove, 2 amici ed una grandissima passione per la musica reggae.
In quell’anno, io e il batterista eravamo alla disperata ricerca di componenti per formare una band, e nel frattempo continuavamo a scrivere e comporre. Da li a poco il gruppo prese forma. Iniziammo subito a metterci in gioco, proponendo la nostra musica al pubblico Trentino.
Che album è il vostro “Impronte”? In che momento del vostro percorso arriva?
“Impronte” lo definiamo il NOSTRO disco, le nostre vere impronte. Mesi di lavoro tra studio e sala prove, con un risultato che ci lascia molto soddisfatti.
Arriva in un periodo molto importante e delicato per noi: dopo anni abbiamo deciso di autoprodurci totalmente.
Ecco perché mi va di ribadire che sono le nostre impronte, sia per quanto riguarda la musica, che il viaggio intrapreso.
Quest’album è composto da 13 canzoni, ognuna molto diversa dall’altra. La radice reggae fa da filo conduttore in tutto l’album, ma non abbiamo voluto tralasciare tutte le sfumature che ci contraddistinguono: si passa da brani molto pop a canzoni elettroniche, per poi arrivare a dei brani in chiave più rock.
L’album è arricchito da molte collaborazioni, come quelle con: Anansi, Virtus, Ares Adami, Drimer, Alice Righi e Greg Cipes, frontman della band Californiana “Cipes and the people”.
Come sono nati i brani? Avete un processo compositivo rodato o ogni brano ha una storia a sé?
Solitamente la composizione ha una semplice procedura che inizia con l’ascolto del brano scritto da me, chitarra e voce, poi tutti i componenti della band iniziano con gli arrangiamenti.
Per questo album invece è stato molto diverso, la stesura di molti testi è stata condivisa anche con altri artisti, ad esempio Anansi ha donato il testo del brano “Lascia che ti dica ancora”, e “Veste l’ombra” è stata scritta dal nostro chitarrista Carlo Villotti.
Quindi si può dire che ogni canzone ha una propria storia, un proprio vissuto.
Vi siete tolti numerose soddisfazioni e state facendo parlare sempre di più di voi… Penso a concorsi vinti o palchi prestigiosi. Che importanza ha per una band porsi degli obiettivi e raggiungerli?
Penso che sia la cosa fondamentale, non solo nella musica, ma nella vita. Porsi obbiettivi è importantissimo.
Raggiungerli dà soddisfazione, ma la cosa più interessante e bella è il viaggio che si fa per conquistarli.
Abbiamo avuto la fortuna di suonare con artisti di fama mondiale: ricordo con felicità lo Strummer Live Festival insieme ad Alborosie, Mellow Mood ed Africa Unite. Il Venice Sunsplash, il Jamrock Festival insieme a Dub Fx, e molti altri.
Che scena c’è oggi in Trentino e in Alto Adige?
In Trentino ed in Alto Adige, la scena musicale è sempre stata molto attiva. Cito ad esempio, due nomi come Anansi e Bastard Sons of Dioniso, che sono riusciti a portare la loro musica fuori dai confini e con molto successo.
Purtroppo le cose stanno cambiando, ma non solo in Trentino. I giovani hanno sempre meno voglia (purtroppo) di imparare a suonare uno strumento e questo mi rattrista molto.
Le sale prove un po’ di anni fa erano sempre piene e dovevi fare a gara per le prenotazioni. Erano il centro di ritrovo di moltissimi giovani, l’aggregazione era alla base, ora invece sono sempre più vuote.
In che stato di salute versa la scena Reggae? Quali sono le novità più interessanti?
Amo la musica reggae, e sono sempre attentissimo ai nuovi nomi.
Purtroppo non sta vivendo il suo periodo migliore, ma le grandi uscite ci sono ancora.
Per quanto riguarda il panorama italiano basta nominare Alborosie e Mellow Mood, realtà che ormai cavalcano i palchi più importanti al mondo. Invece la realtà Giamaicana, sta sfornando artisti incredibili come Tarrus Riley, Protoje, Chronixx e tanti altri. Reggae music never stops!!!
Se aveste la possibilità di essere ministri per un giorno e di fare qualcosa per dare un aiuto concreto alla musica dal vivo che cosa fareste? Di cosa c’è bisogno?
Se potessimo cambiare le regole per un giorno, sicuramente il nostro intento sarebbe quello di modificare alcuni assurdi limiti di legge, che impediscono o rendono complicata, la realizzazione di eventi in luoghi pubblici, o in locali delle nostre città.
Perché Soundreef?
Perché finalmente è nata un’alternativa a qualcosa che fino a poco tempo fa era un obbligo, imposto a chi voleva proporre la propria arte.
Abbiamo scelto Soundreef perché è una società con un’attitudine moderna, sia sul versante tecnico che su quello organizzativo.
Trasparenza, correttezza e concretizzazione degli obbiettivi, sono le chiavi che un’artista cerca, quando affida i diritti del proprio lavoro, a terzi.
Con Soundreef noi abbiamo trovato tutto questo.
In bocca la lupo, ragazzi!