Nei primi anni del nuovo millennio il suono di Quadraro Basement e del TruceKlan ha segnato un momento di svolta per l’Hip Hop italiano. Per la scena romana in particolare si è trattato di un vero e proprio sconvolgimento. Dal Rap di Colle Der Fomento, Assalti Frontali e Cor Veleno si è passati ad un immaginario estremamente più crudo, ad un Rap molto più violento, ma anche e soprattutto ad un suono contaminato da generi ben distanti dall’hip hop classico, come il metal e la techno. “Ministero dell’inferno” del TruceKlan, “Verano Zombie”, “Guilty” e “Monster” di Noyz Narcos, “Anima e Ghiaccio” dei Colle Der Fomento, “S.O.S.” di Baby K e “Sulamente Nuje” di Capo Plaza e Peppe Soks sono solo alcuni dei lavori realizzati nello storico studio romano.
Francesco ‘Fuzzy’ Fracassi, produttore e uomo simbolo del Quadraro Basement, oggi come vent’anni fa cerca di dare una mano agli artisti che hanno qualcosa da raccontare, riuscendoci molto spesso a fargli fare il salto di livello.
Secondo te nel 2020 è ancora fondamentale raccontare nel Rap qualcosa che si è vissuto per davvero? Qualche anno fa non ci sarebbe stato neanche da discuterne, oggi invece molti ascoltatori sembrano non considerare l’attinenza alla realtà un requisito fondamentale.
Il Rap nasce per aiutare il prossimo, può aiutare veramente le persone a migliorare. Se un ragazzo che viene dalla periferia parla nei testi delle rapine che fa, ma spiega anche che quello che fa o è costretto a fare è una merda, ed anziché istigarti a imitarlo ti invita a non fare la stessa fine, penso che possa aiutare.
In questo senso l’attinenza alla realtà è fondamentale. Anche perché il Rap vive di contenuti, nei momenti più bui della mia vita ci sono stati quei dieci, venti artisti che mi hanno aiutato a risalire la china, perché sentivo dei contenuti reali, in cui mi riconoscevo, che mi hanno aiutato a non abbattermi.
Che poi è quello che accomuna buona parte degli ascoltatori Hip Hop.
Esatto, il Rap ha da sempre una funzione sociale.
Ora però il contenuto sembra essere passato in secondo piano rispetto all’immagine. Secondo te quanto conta l’immagine nel Rap?
C’è ovviamente un’estetica nel Rap ma non è la cosa fondamentale. Ora di base c’è un fraintendimento di questo discorso. La ricerca spasmodica dell’ultimo modello di scarpe da settecento euro che fanno i nuovi trapper è una cosa che in America si fa quando hai venduto un sacco di copie, quando hai dieci milioni di dollari in banca. A quel punto ti compri vestiti e collane d’oro, e fai vedere che hai fatto i soldi con il Rap. Ma tu, artista emergente che hai il padre e la madre che fanno un lavoro normale, se ti compri le scarpe da settecento euro per metterle nel video probabilmente non ci hai capito un ca..o. In Italia capisco che lo faccia Achille Lauro o Gué Pequeno, ma non il ragazzino alle prime armi.
Si stanno svilendo i contenuti, gli artisti di nuova generazione si dovrebbero aiutare l’un l’altro per cercare dei concetti nuovi. Penso comunque che questa massa di qualunquismo prima o poi sia destinata a cadere, perché non ha il supporto della cultura di strada.
I primi accenni di cedimento già si iniziano a vedere infatti. Secondo te in che misura le differenze tra il Rap di oggi e qualche anno fa sono conseguenza della società sempre più individualista in cui viviamo?
Sono anche conseguenza del fatto che molti artisti di nuova generazione non hanno neanche idea di chi siano la Sugarhill Gang, Ice Cube, Ice-T e tutto il Rap delle origini. Non hanno proprio idea di cosa sia la cultura Hip Hop. Per loro il Rap è il vestito, la scarpa di marca. Una volta si cresceva sulle panchine, in comitive di dieci, venti, trenta persone. Noi siamo cresciuti in comitiva, per strada, nei quartieri. Oggi si sta al computer, da soli o al massimo in due. Ormai i ragazzi neanche si passano le canne, ognuno si fa la sua. Non c’è spirito di partecipazione. Ma questo buco non è colpa dalla vecchia generazione. Noi abbiamo osservato chi c’era prima di noi, molti dei nuovi non hanno voluto fare la stessa cosa.
Detto questo, non voglio essere critico con tutta la nuova generazione, anzi, ci sono persone fortissime che hanno una testa importante, penso ad esempio a Tha Supreme. Poi in generale quello che cerco di fare io è proprio dare massimo supporto ai giovani. Al Quadraro stiamo in fissa con lo scouting, facciamo compile, cerchiamo di dare voce a tutti quelli che non riescono a entrare nelle playlist nazionali. La sfida, l’obbiettivo di Quadraro è proprio quella di rappresentare un polo di iniziative per aiutare i giovani, che poi è quello che facciamo da sempre.
State mantenendo vivo lo spirito del Quadraro.
Assolutamente sì, e lo facciamo con uno degli studi migliori d’Italia. Stiamo ancora qui dopo vent’anni.
Uno spirito in cui già vent’anni fa giocava un ruolo fondamentale la contaminazione tra diversi generi. Il suono che arrivava dal Quadraro nella scena italiana ha rappresentato qualcosa di completamente innovativo.
Sicuramente, quando siamo arrivati noi il Rap italiano era Neffa, Frankie Hi-NRG, Esa. Poi siamo arrivati noi, che veniamo dalla Techno, dai Rave. Arrivavamo dalla musica fatta rubando campioni qua e là.
Ma anche da tanti altri generi, come il Metal.
Sì, abbiamo portato una contaminazione tra Metal, Hardcore, Techno ecc, che ci ha permesso di sporcare ulteriormente una musica come il Rap, già sporca di suo, che abbiamo contaminato con dischi come Ministero Dell’Inferno.
Quel disco è un pezzo di storia di tutto il Rap italiano, sei d’accordo?
Quando uscì nel 2007 era l’unica compilation in cui potevi trovare tutti gli artisti che in quel momento avevano un peso in Italia. Nella tracklist c’era Kaos, Noyz Narcos, i Colle Der Fomento, Fabri Fibra, Marracash, Inoki, i Dogo. Oggi una cosa così è impensabile. All’epoca avere Kaos e Noyz Narcos nello stesso disco, ma anche i Colle Der Fomento che facevano una cosa lontanissima dal TruceKlan, sembrava incredibile. Ci siamo riusciti perché incarnavamo così tanto la novità del momento, che chiunque voleva salire sul carrozzone. Night Skinny ha fatto qualcosa di simile recentemente. Finito il disco ha detto che è stata una fatica immensa, una cosa che non farà mai più, che gli ha levato dieci anni di vita (ride, ndr).
Il dato che ti fa capire l’importanza di quel disco è che ciclicamente, più o meno una volta all’anno, si diffonde online la fake news sull’uscita del secondo capitolo. E puntualmente la gente impazzisce anche solo all’idea. Vale sia per i giovanissimi, che quando uscì Ministero dell’Inferno erano all’asilo, che per gente che va verso i 50.
Già, è una faccenda complicata purtroppo, bisognerebbe mettere insieme tantissime persone. Il cuore della produzione di quel disco eravamo io e Lou Chano, ma partecipò una quantità incredibile di artisti, sia rapper che producer. Da un punto di vista etico credo sia meglio che la cosa rimanga congelata, altrimenti diventerebbe una sorta di operazione di marketing, tipo la reunion dei Sex Pistols, una cagata pazzesca, che non avrebbe nulla a che vedere con quello che è il Quadraro.
Noi affrontiamo sempre tutto con uno spirito di aiuto verso il nuovo, non troverai mai in giro nostre pubblicità della serie “Vieni nel nostro studio, questi sono i prezzi”. Abbiamo sempre lavorato senza alcun tipo di promozione. Siamo sempre stati a disposizione di chi ha qualcosa da dire, chi ci vuole trovare ci trova. Noi lavoriamo per la cultura del Rap italiano: se qualcuno ha dei concetti da esprimere e dei contenuti veri lo facciamo esprimere, altrimenti non ci interessa.
Ti faccio un esempio, quando abbiamo fatto uscire Baby K con “Femmina Alpha” ci contattarono subito tutti: Tiziano Ferro, la Sony, la Warner. Abbiamo deciso subito di smollare Baby K alla Sony. Fare quel tipo di musica leggera con Baby K ci avrebbe portato un sacco di soldi, ma avremmo chiuso il nostro percorso Hip Hop, non saremmo stati più Quadraro Basement. Tutta quella fascia lì l’abbiamo in un certo senso lasciata ad Honiro, realtà con cui anni fa collaboravamo spesso, che aveva interessi più legati al music business. Purtroppo o per fortuna noi non siamo Honiro, con tutto il rispetto. Quindi insomma, Baby K l’abbiamo lasciata andare.
Ma possiamo dire che in fondo il ruolo di Quadraro è un po’ questo? Una realtà che ti prende dalla strada, ti fa crescere, se hai qualcosa da dire ti dà la possibilità di dirlo. Poi se arriva la Sony…
Ti lascio, se arriva la Sony ti lascio subito. Con tutti quei soldi di mezzo l’obiettivo di fare cultura passerebbe inevitabilmente in secondo piano. Diventi un’azienda, devi far quadrare i conti. Raramente si fa cultura con milioni di euro, secondo me bisogna diffidare sempre di chi si propone di fare cultura così, la cultura si fa con pochi soldi. Deve circolare il pensiero, non i soldi, quando girano troppi soldi non è più cultura per me, diventa industria.
Sempre rimanendo sul lato scouting di Quadraro, quasi nessuno sa che anche uno dei nomi più importanti della nuova scena, Capo Plaza, ha realizzato il suo primo disco al Quadraro. Come siete entrati in contatto?
Noi eravamo entrati in contatto con il suo storico collaboratore ed amico Peppe Soks, che aveva 17 anni, ed una volta portò in studio Capo Plaza, che ne aveva 15. Pensa che essendo entrambi minorenni per venire a registrare in studio avevano bisogno di un accompagnatore maggiorenne. Hanno registrato il loro primo disco ufficiale da noi. Anche in questo caso, Capo Plaza lo abbiamo battezzato da piccolo e lasciato andare.
Curiosità, ma quindi è da voi che si sono conosciuti Noyz Narcos e Capo Plaza ?
Sì sì, Capo Plaza ha lavorato da noi per quasi due anni. Quel disco è uscito ancora prima del botto definitivo della Trap, ma ci sono già feat con Sfera Ebbasta ed Izi.
Lasciate andare gli artisti però poi non recriminate nulla. Non è sempre così nel Rap italiano.
Per noi è un vanto. Siamo contenti di poter vantare di aver fatto il primo disco di molti artisti che poi si sono imposti nella scena.
Secondo te a livello prettamente musicale cos’è che ha permesso al Rap di diventare il genere più ascoltato in Italia? Il Rap è una musica facile solo all’apparenza, che tutti pensano di poter fare ma ben pochi riescono a fare bene sul serio. Secondo te questa facilità, che in realtà è soltanto apparente, può aver incrementato il numero di aspiranti rapper?
Credo ci siano vari fattori, in primis il fatto che ora si può fare musica a basso costo: con qualche centinaio di euro puoi crearti un mini studio a casa. Tutto ciò qualche anno fa non esisteva, dovevi andare per forza in studio, per fare una canzone dovevi sbatterti parecchio, per entrare in studio c’era la fila.
Come è cambiato il tuo approccio alla produzione dall’inizio ad oggi? Un tempo il beat Hip Hop era quasi sempre incentrato su un campione, ormai molto spesso tutti i suoni e le linee melodiche vengono prodotte. Tu di che scuola sei?
Per me se non metti un campione dentro non è vero Rap. Il campione amalgama e rende magico il tutto. Voglio dire, fare il giretto minore che fanno ormai tutti uguale a che serve? Lo senti subito che non ha proprio spessore. Oggi poi suonano tutti minori e presi a male. Hanno tutti una malinconia di base che ti viene da dirgli “Fijo mio, mettici un po’ di cattiveria, un po’ di cazzimma”. Sei ci fai caso la Trap è fatta tutta con giri minori, malinconici.
E lisergici.
Sì, si rifà a quegli sciroppi che prendono e quelle allucinazioni che amano avere. Però i dischi stanno diventato tutti uguali. Poi molti italiani copiano palesemente la Trap francese, che ormai è più avanti di quella americana, che però è più estrosa, matta – ci buttano dentro le casse distorte, fanno cose particolari – mentre quella italiana è piattissima. C’è sempre questo bassone assieme a questi giri malinconici che sembrano sempre lo stesso pezzo, c’è un appiattimento bestiale. Uno come Tha Supreme, lo chiamo in causa di nuovo, è acqua nel deserto. Lui è geniale, ovviamente anche lui guarda e prende ispirazione da cose che già esistono, ma lo fa mettendoci tantissimo del suo estro, creando un qualcosa di originale, in questo senso prendere ispirazione è solo un pregio.
Di profili così originali però non ce ne sono moltissimi, o magari non riescono a farsi notare. Il contest che stiamo facendo con Soundreef è molto interessante proprio da questo punto di vista. Lo facciamo per tutti quelli che si lamentano di non avere le possibilità per emergere, di non avere spazio. Ecco, questo è uno spazio, vediamo che ci date. E’ un ottimo modo per capire qual è la qualità dei ragazzi oggi.
Cosa ti sentiresti di consigliare ad un ragazzo o ad una ragazza che si affaccia al mondo della produzione musicale?
Gli consiglierei di produrre un genere molto diverso da quello che vuole fare. Ti piace il Rap? Suona pezzi Rock. Impegnarvi per suonare qualcosa di lontano da voi vi permetterà di suonare ancora meglio quello che vi piace, portandovi dietro quello che imparate, che altrimenti non avreste. Il Rap nasce dalla contaminazione, ma se vuoi produrre devi saper distinguere il giro armonico di un pezzo Rock, anche solo per gestire un campione. I pezzi migliori sono quelli con un campione Rock, magari di David Bowie, a cui viene aggiunto un bassone inquietante. Il consiglio che do è quello di contaminarsi, di di crossoverizzarsi il più possibile. Nella musica di Tha Supreme – lo cito per l’ennesima volta – che è quello che tra i giovani si distingue di più, si sente tantissimo la contaminazione tra diversi generi.
Ultima domanda didascalica: quali sono per te le tre caratteristiche fondamentali che deve avere un MC?
Allora, in questo ordine. Per prima cosa quello che mi stai dicendo. Io ho bisogno di una storia, ho bisogno di contenuti. Poi il timbro e l’intensità della voce. Al terzo posto la tecnica, ma la cosa fondamentale rimane quello che dici.
Grazie Fuzzy e Lorenzo Spigarelli di Mondorap per l’intervista.
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