Ciao Matteo, quando ti sei avvicinato alla musica e quando hai iniziato a scrivere brani tuoi?
C’è sempre stata musica a casa mia. In prima media, ho iniziato a strimpellare una vecchia chitarra degli anni ’70. Una Eko. L’aveva regalata mia madre a mio padre, poi è rimasta ferma e impolverata per tanti anni, sembrava quasi che mi chiamasse!
Successivamente ho collaborato in vari progetti soul/blues con verie band e musicisti, mi piaceva riarrangiare pezzi famosi e rifarli in uno stile più personale. Poi, verso i 25 anni, ho iniziato a sentire un desiderio forte di scrivere canzoni, di fare la mia musica. Da li è iniziato un percorso, che continua tuttora, che mi sprona a raccontarmi. Ho scoperto che è terapeutico.
Come è stata l’esperienza al CET di Mogol? Che idea ti sei fatto a proposito della scrittura? Quali sono gli elementi imprescindibili di un buon brano, secondo te?
E’ stata un’esperienza sicuramente significativa. Mi ha fatto maturare molto attraverso un forte confronto con i docenti. E’ stato anche molto faticoso. Conosci tanti artisti come te che ci stanno provando e ti chiedi veramente quanto vali, se hai veramente qualcosa da dire e se lo sai fare in maniera nuova, efficace.
Sono arrivato al Cet e pensavo che mi potesse bastare l’istinto per fare la differenza. Invece ho capito che scrivere canzoni è un’arte davvero complessa e dietro ogni talento c’è tanto, tanto lavoro.
L’elemento imprescindibile di un brano secondo me è la verità; prima di tutto dev’esserci questa. Poi, per comunicarla nel migliore dei modi, servono tecnica e strumenti che impari dopo tante “ore di volo”. Una canzone è composta da tante parti, spesso non ci fai caso, sembra un blocco unico ma in realtà è un sistema fitto di dati e farli comunicare tra di loro coerentemente è davvero un arte sopraffina.
Il Cet allo stesso tempo però mi aveva bloccato. Dopo la scuola mi sono trovato senza energie. La scuola racconta solo la via classica per proporre la propria musica, attraverso gli intermediari. Se cerchi solamente di arrivare a chi “dall’alto un giorno ti produrrà”, perdi solo tempo! C’è un percorso di crescita umana oltre che professionale che non può attendere, e purtroppo o per fortuna, lo devi fare da solo. C’è una nuova via oggi, che mi sembrava impossibile fino a qualche anno fa, che è quella dell’indipendenza. Usare i social e proporsi direttamente al pubblico oggi è possibile. Per il sistema “tradizionale” noi emergenti, dovremmo stare fermi ad aspettare di essere pescati dall’alto da qualche “produttore”. Ma così è la morte, io non ci sto.
Quando e come è nato il tuo nuovo album?
“8 Cose” è nato nel mio piccolo studio domestico, da dove spesso nascono le idee e da dove ho curato gli arrangiamenti e la pre-produzione. C’ho lavorato per un anno e mezzo.
Successivamente, per poterlo produrre, ho lanciato una campagna di crowdfunding coinvolgendo il mio pubblico. Il risultato è stato oltre le mie aspettative. L’abbiamo prodotto insieme!
Questo nuovo album è molto “live”, suonato alla “vecchia maniera” per capirci; riprende un pò le fila del primo disco “Ora puoi uscire”. Ho lavorato tanto sui suoni e sul groove. Questa volta mi sono lasciato andare anche in riff e assoli di chitarra, ma sempre con un linguaggio (spero) semplice ed orecchiabile. Io sono un chitarrista che canta. Il mio sogno è quello di poter fare una musica pop, leggera, che arrivi all’ascolto di tutti ma con la sensibilità del blues e del jazz. Questo nuovo album ha un sapore molto morbido e nostalgico ma, essendo pieno di chitarre, graffia un po’!
Quali sono le cose più interessanti in questo momento in Italia, a tuo avviso? Che prospettive vedi in generale?
Non so, domanda difficilissima. Ascolto un pò di tutto, per capire e farmi un idea su cosa funziona in Italia ma, non ci sto capendo niente..
Sento tante cose ma, a mio avviso, molto sopravvalutate, che sicuramente hanno tanto di buono ma faccio veramente fatica ad apprezzare davvero. Mi riferisco sopratutto al nuovo panorama indie. Io negli ascolti cerco melodia, sopratutto melodia. D’accordo i bei testi, ma mi serve melodia e gusto nella ricerca dei suoni, negli arrangiamenti. Poi personalmente cerco sempre groove negli ascolti.
I miei riferimenti italiani comunque rimangono sempre il cantautorato di Niccolò Fabi e la scuola romana, consumavo il primo Neffa e il pianista/cantautore Ivan Segreto. Nel panorama rap mi piace molto Ghemon. Ha classe!
Che prospettive vedo in generale? Bhò, io scrivo in italiano ma ascolto tantissima musica d’oltreoceano, quindi è un casino rispondere.. Non so dove stia andando la musica Italiana, ma so dove vorrei andare io.
Cosa servirebbe davvero alla scena italiana per fare un balzo in avanti?
Liberarsi dei cantanti dei talent e delle cover band.
Perchè Soundreef?
Ero stanco della distanza che sentivo tra me e chi mi tutelava. Anche solo per chiedere un’informazione sembrava di parlare con un’entità fantasma.
Sono con Soundreef da gennaio e per ora mi sto trovando molto bene. Prima di tutto è gratuito, poi veloce e trasparente. I depositi delle mie opere li posso fare comodamente on-line. E poi al telefono o per mail trovo sempre uno scambio per risolvere e capire, questo è tutto! Speriamo si possa risolvere la questione del doppio borderò.
Credo comunque che sia un grande passo per il cambiamento di questo sistema italiano. Io ci sto credendo, o come disse qualcuno di più noto di me “mi sto giocando il culo!”