Quando e come inizia il percorso di Luca Giuoco?
L’Oracolo di Berlino è il mio disco di esordio ma nel corso degli anni mi sono confrontato con stili e approcci diversi, dall’elettronica contaminata con il prog rock alla musica minimalista. Le produzioni amatoriali di quel tempo non hanno mai visto una pubblicazione ufficiale e questo mi ha permesso di compiere un percorso solitario allontanandomi dalla musica convenzionale e addentrandomi in nuovi territori.
Come è nato l’Oracolo di Berlino? Che cosa rappresenta nel tuo percorso?
Inizialmente desideravo sperimentare con due elementi da me poco esplorati: le ritmiche sintetiche e la voce. Man mano che accumulavo materiale ho iniziato a pensare ad un’idea che potesse rappresentare il senso della mia ricerca.
Le tracce su cui lavoravo sembravano provenire dal passato piuttosto che dal futuro. Così iniziai a ragionare sul classico tema del messaggio nella bottiglia. Volevo collocare cronologicamente il disco durante gli anni della guerra fredda ma l’idea di utilizzare registrazioni radio di number stations non è affatto nuova.
Utilizzare un identico frammento audio in tutte le tracce però mi intrigava. Ecco perchè ribadisco sempre che L’Oracolo di Berlino non è un disco sulle number stations. Il loro ruolo all’interno dell’opera è legato al concept alla base del lavoro ossia la rappresentazione stessa dell’incomunicabilità umana. Una donna di cui non conosciamo nulla, neanche il nome, trasmette insistentemente un messaggio attraverso un canale a onde corte in una Berlino pervasa da un clima apocalittico. La voce stessa della donna subisce continue metamorfosi fino a disumanizzarsi del tutto nell’ultima traccia del disco. L’Oracolo di Berlino è anche il disco che segna l’inizio di un discorso concettuale che vorrei continuare ad approfondire con le opere successive.
Musica elettronica: approccio estemporaneo o programmazione ragionata? Esiste un equilibrio tra questi due approcci?
Il mio metodo compositivo prevede l’utilizzo per una stessa traccia di entrambi gli approcci. Tutto nasce da lunghe improvvisazioni nelle quali utilizzo in modo anche molto disinvolto più macchine virtuali. Il passo successivo è l’ascolto capillare del materiale per individuarne i segmenti più interessanti. A questo punto inizia un vero e proprio intervento chirurgico sulla traccia attraverso una serie di innesti, tagli e stratificazioni. Un terzo approccio per me imprescindibile è l’elemento casuale. Durante le registrazioni si verificano sempre degli eventi del tutto aleatori che decido volontariamente di mantenere nel master finale.
La produzione tra significato ed estetica: quale di questi due aspetti è per te più importante?
E’ una domanda intrigante. La musica per me è fondamentalmente concettuale. Un disco è come un libro, le singole tracce sono capitoli, l’opera deve rappresentare un’idea, una storia. E’ anche vero che non sempre l’idea precede la composizione: spesso le cose avvengono come in un racconto di J. L. Borges dove un pittore decide di rappresentare il mondo intero solo per rendersi conto alla fine di aver dipinto il proprio volto.
Che idea ti sei fatto della scena musicale oggi in Italia? Quali sono gli aspetti più interessanti? Dove si potrebbe fare innovazione e migliorare?
Non credo di essere in grado di rispondere compiutamente a questa domanda perché di fatto sono un musicista underground isolazionista: non suono dal vivo, non ho un’immagine da vendere, le mie produzioni musicali non sono esattamente allineate con quanto al momento viene proposto in Italia. Credo però che ci siano ora alcuni artisti italiani underground davvero meritevoli di maggiore considerazione. Quello che al momento mi sembra manchi sempre di più è la cultura del disco: il disco inteso non solo come oggetto da collezione ma soprattutto come strumento di diffusione delle idee. Continuare a ristampare opere del passato è importante ma esse sono già entrate nel nostro DNA. Bisognerebbe valorizzare e celebrare anche opere nuove che hanno le potenzialità per diventare le pietre miliari del nostro tempo.
Perché Soundreef?
Ripenso spesso alle difficoltà (anche economiche) che incontravo da ragazzo per tutelare le mie prime composizioni. Ora Soundreef offre un sistema semplice ed efficace per poter depositare la propria musica online in totale trasparenza.
Per me è l’ideale.
Grazie mille Luca e in bocca al lupo!