Da anni legato alla scena avant-garde siciliana con il suo stile “intenso e sporco”, Giuseppe Lombardo – in arte Lomb – ci racconta il suo rapporto con la musica. Ecco l’intervista.
Ciao Giuseppe, quando e come nasce il progetto Lomb? Con che idea?
Ciao e grazie per aver condiviso questo spazio con me. Il progetto è nato per dare un involucro alle canzoni dell’album che hanno iniziato a prendere forma, nella loro struttura essenziale, prima ancora che decidessi di pubblicare il disco e quindi di dare un nome al progetto. Una delle canzoni, What does it matter?, l’avevo composta e proposta alla band con cui suonavo, gli Zuma per il secondo album che però, dopo essere stato registrato è rimasto in un limbo. Quella registrazione con gli Zuma segna un passaggio fondamentale per il mio modo di comporre ed approcciarmi alla composizione: è il primo disco registrato in vita mia in cui ho suonato esclusivamente chitarre acustiche. Ho iniziato a pensare alle canzoni affinché funzionassero anche senza un arrangiamento complesso, a brani sostenuti solamente dall’accompagnamento con la chitarra e la linea della voce. Le registrazioni e l’attività con gli Zuma ad un certo punto sono cessate, non riuscivamo più ad incontrarci. Per me però comporre non è né un lavoro né una attività che posso slegare dal resto della mia vita e quindi, ho continuato a farlo per me stesso, senza pensare alla collocazione delle mie opere.
Come e quando nasce “Cuts”? All’ascolto sembra avere un’idea di suono molto chiara. Quali sono stati gli step produttivi? Chi ha lavorato con te all’album e che tipo di confronto è stato?
Come ti dicevo queste canzoni sono precedenti al progetto Lomb. Sono state due persone in particolare a spingermi a fare uscire queste note fuori dalla mura dei casa mia. Carmelo Milea il promotore della Electratribe Management che ho ospitato a casa mia per qualche giorno e che dopo aver ascoltato i brani — senza che io glielo avessi mai chiesto — ha organizzato un piccolo concerto (ho scelto il nome Lomb in quella occasione) e Paolo Messere, che in circostanze simili (stavolta ero o
spite io a casa sua) mi ha proposto di registrare le canzoni con tutti i servizi della sua Etichetta, la Seahorse Recordings.Gli step produttivi quindi hanno visto 3 fasi. La prima, la gestazione, avviene dentro di me utilizzando parti estranee alla mia razionalità. Succede soprattutto quando sono attraversato da quelle sofferenze quotidiane che ho bisogno di metabolizzare nel mio universo interiore perché in quello esteriore ogni azione è vana.Questo disco, nella mia storia personale, viene dopo una soffertissima separazione con una donna che sembrava aver assestato la mia vita sentimentale dopo la rottura del mio matrimonio. Non potendo reagire a questo evento sono stato sostenuto dalla mia passione per la musica che mi ha permesso di dare un senso al fiume emotivo che attraversavo. Alla fine mi sono ritrovato con le canzoni registrate con una attrezzatura domestica base sul mio hard disk.La fase successiva ha visto invece l’intervento di Paolo Messere, nel dicembre del 2017, nel suo vecchio studio di Siracusa abbiamo registrato le canzoni con la sua attrezzatura e lui si è occupato degli arrangiamenti. Abbiamo ascoltato tanta musica insieme a Paolo. Fra le mie proposte di ascolto emergevano principalmente Timber Timber, Micah P Hinson, Sun Kil Moon, Giant Sand e anche Howe Gelb come solista, abbiamo anche ripassato tutti i nostri amori degli anni passati dai Cocteau Twins a Bark Psychosis con tutto quello che c’è in mezzo. Quando siamo entrati in sala ho lasciato che Paolo esprimesse il suo sentire rispetto alle mie canzoni che abbiamo registrato in due, salvo per il Sax di Princess che è stato registrato da Peculiaroso
Scrivere musica. A cosa un autore non dovrebbe mai rinunciare? Che tipo di approccio hai tu alla scrittura?
Io amo pensare che i musicisti che ascolto, anche quando vivano già di musica, non compongano pensando al guadagno immediato. Faccio questa premessa perché voglio descrivere un insieme di autori più ristretto, voglio escludere dalla mia risposta quelli che approcciano il lavoro con le statistiche di Spotify alla mano e che vedono la musica solo come un’industria e compongono pensando già al target a cui rivolgersi e con intendi di marketing ben chiari. A mio avviso un autore non dovrebbe rinunciare mai all’ascolto della propria interiorità, alla volontà di comunicare quell’universo emotivo che può passare fra le persone solo attraverso le vibrazioni prodotte dalla musica. Sono anche convinto che bisogna liberarsi da tutte le ossessioni sia di carattere tecnico che compositivo e lasciare emergere la spontaneità del momento che si sta vivendo.Io non ho un metodo che funziona sempre, se decido di scrivere una canzone non mi viene fuori mai nulla. Ripeto schemi che conosco già e che riconosco come stereotipi inutili. Comporre una canzone per me è come fare l’amore con una donna che ami. Se ti concentri sulla performance ne verrà fuori solo della ginnastica, se invece ti perdi in quel momento e dimentichi quello che stai facendo avviene la sinfonia, “senti le campane che suonano e vedi i fuochi d’artificio”. Fuori dalla metafora, quando prendo la chitarra in mano (suono quella e la uso per comporre), quando riesco a smettere di cercare le note per una nuova canzone si crea la magia. Percepisco che non sono io suonare ma è la musica che si serve di me per farlo: le note fluiscono libere e si realizza il miracolo di una nuova canzone. Quando riconosco questo momento uso registrare con lo smartphone quello che accade. Poi canticchio delle cose in inglese maccheronico e quindi lascio che la sensazione che mi trasmettono le note che ho registrato mi sia di ispirazione per il testo. Per me i testi non sono così importanti quanto al resto, ci metto cura nel farli, ma vorrei che le emozioni della musica siano trasportate più dalla musicalità che non dalla comprensione razionale del testo. Questo è anche il motivo per cui preferisco l’inglese all’italiano nelle mie canzoni.
Prima di Lomb hai avuto tantissime altre esperienze ed un percorso davvero interessante. Che tipo di rapporto hai sviluppato nel tempo con la musica?
Io sono cresciuto con la musica, grazie a questa sono salvo. Mi ha piano piano tirato fuori da una timidezza eccessiva con cui ho dovuto convivere per tutta la mia adolescenza e anche oltre: grazie al fatto che quando suonavo erano gli altri a notarmi e non io a dovermi fare largo. Da ragazzo ho iniziato a fare il grafico — il mestiere che mi garantisce la sussistenza — come attività collaterale a quella di musicista. Organizzavamo concerti, serate da ballo, facevamo i demo-tape e ognuna di queste cose aveva bisogno di una veste grafica. Io non sapevo neanche cosa fosse un grafico, avevo solo una spiccata attitudine al disegno e facevamo tutto con matite, pennarelli e fotocopie.
Fin quando Agostino Tilotta degli Uzeda non mi chiese di fare la copertina di “4” il loro quarto disco, da lì a poco entrai nello studio di Jacopo Leone (ci presentò Giovanna Cacciola sempre degli Uzeda), un architetto che aveva uno studio di progettazione grafica e una immensa passione per la musica. Lavoravamo tutti i giorni ascoltando di tutto, da Tom Waits a Thelonious Monk passando per Roberto Murolo e Buena Vista Social club, devo molto a quel periodo della mia vita in cui allargai spaventosamente i miei orizzonti musicali. Nel suo studio abbiamo progettato la copertina di Canzoni a Manovella di Vinicio Capossela e un giorno, quando Vinicio smise di litigare col mio titolare su qualche dettaglio della copertina, Vinicio invitò a pranzo solo me e finì che, dopo aver saputo che avevo a casa un organo Eko Tiger Duo, mi fece un concerto intero suonando e cantando a casa mia solo per le mie orecchie. In seguito ho lavorato per la Cooperativa Prospettive Indigene progettando delle locandine (alcune onestamente molto ingenue) per i concerti di Shellac, Brainiac, Fugazi (vado a memoria) e le grafiche dei dischi dei gruppi che si appoggiavano all’etichetta e poi, per Musica e Suoni le locandine di Sonica, un festival molto importante in Sicilia che ha ospitato nomi come Coldplay, Patty Smith e Robert Plank e Barock (questo con i Sonic Youth e i miei Baffos in apertura).
Ancora oggi spesso mi capita di progettare copertine di dischi e grafiche per rassegne musicali. Ma le risposte a questa domanda potrebbero essere tantissime. Ho conosciuto la mia ex moglie ad un concerto dei Baffos, un mio progetto di 10 anni fa e quindi anche la nascita di mio figlio è stata influenzata dalla musica. Potrei andare avanti senza fermarmi per ore parlando del mio rapporto con la musica. Poi si potrebbe parlare anche delle influenze. Sono tantissime e vanno dalla new wave al punk e al neo folk americano. Il rapporto con la musica suonata invece è sempre stato prettamente amatoriale, e comunque fortemente influenzato dalla difficoltà imposta dallo Stretto di Messina e la Salerno-Reggio Calabria. In qualche modo tutti i miei progetti hanno sempre avuto un buon successo nella mia isola (per successo intendo raggiungere il pubblico di mio interesse, non un consenso commerciale), ma la promozione oltre l’isola è sempre stata complicata e alla fine ha vinto sulla nostra determinazione nonostante i piccoli tour su per lo stivale e una terribile esibizione all’altrettanto terribile Sanremo Rock.
Come ti sembra oggi la scena italiana?
Non lo so. In generale non mi piace la musica italiana contemporanea, non riesco a capire se abbia valore o meno perché istintivamente me ne allontano appena mi passa per le orecchie. Qualche giorno fa ho fatto una prova tentando di ascoltare tutti i cantautori italiani contemporanei. Non ha funzionato granché. Hanno superato il mio esame solamente Bob Corn (che può dirsi italiano solo all’anagrafe), Cesare Basile, che trovo immenso per contenuti, arrangiamenti e suoni ma soprattutto per le emozioni che è in grado di suscitare. Tuttavia Cesare lo conoscevo già lo considero una spanna sopra qualunque altra cosa contemporanea italiana io abbia sentito. Mi è piaciuto Andrea Chimenti che fino ad allora avevo snobbato per la mia presunzione verso la musica italiana. Mi è piaciuto molto, ma questo è un ascolto nuovo solo per me, sono certo che quando mi chiedi della scena italiana tu ti riferisca a nomi come Cosmo o Calcutta. Di tutta questa nuova scena ho gradito, seppure a piccole dosi, solamente i Pop X di cui mi piace modo di essere dissacranti e ironici. Tutti gli altri nomi non li distinguo l’uno dall’altro a parte Colapesce che gradisco ma che poi alla fine non ascolto perché le mie orecchie cercano altre emozioni (mi piaceva molto il suo progetto precedente, gli Albano Power). Ritengo in ogni caso un bene che ci sia una attenzione mediatica verso la nuova musica italiana oltre i soliti nomi e mi auguro che possa far accendere la passione per la musica agli adolescenti spostandoli dall’imitazione o la riproduzione delle canzoni a mo’ di cover verso la voglia a fare qualcosa di proprio. Mi sembra che manchi la voglia di scoprire le novità, di essere pionieri, quel piacere che avevamo nel cercare i gruppi dalle fanzine a favore del bisogno di omologarsi.
Possibilità per un artista nell’era del post impatto con il digitale.
Detto molto onestamente sto cercando di capirlo. La possibilità di andare lontano sembra molto facile ma poi, di fatto come si fa? Io adesso sono in distribuzione digitale su tutte le piattaforme di streaming e di vendita ma come faccio a raggiungere le orecchie delle persone potenzialmente interessate all’ascolto della mia musica? Certamente le mie canzoni non hanno il potere di diventare virali alla Gnam Gnam Style e lavorare sulla promozione è un progetto lungo e dispendioso. Mi piacerebbe affrancarmene e pensare solamente ai live. Per me il live è un momento molto intenso. Fissare una data mi costringe a confrontarmi con la mia timidezza e quella tensione che si crea nel contrastarla alla fine mi nutre, ogni live è la mia messa. Il mio rituale che si compie. Il Booking della Seahorse Recordings sta lavorando nel difficile compito di organizzare il tour ad un artista siciliano, che canta in inglese e che, fuori dallo stivale, non è conosciuto ancora da nessuno. La cosa interessante, rispetto a tutto questo discorso, è che non è possibile perdere, perché ogni piccolo passo in avanti è un tassello che si aggiunge alla mia esperienza e di questa io ne faccio nutrimento.
Perché Soundreef?
La SIAE non gode di buona reputazione fra noi musicisti minori. Siamo costretti a pagare una tassa per dei proventi che verranno ridistribuiti in proporzione alle vendite e alla notorietà che noi non abbiamo, in pratica toglie ai poveri per dare ai ricchi. I miei amici iscritti alla SIAE con esperienze e progetti simili ai miei pagano più di quello che ricevono. I concerti minori vengono scoraggiati dalla tasse ne è la prova il fatto che è quasi impossibile organizzare un concerto di un artista sconosciuto con tutta la burocrazia in regola senza rimetterci del denaro. Vere o false che siano queste considerazioni hanno trovato spazio ed eco dentro di me formandomi l’opinione che la SIAE piuttosto che essere un ente che vuole tutelare la musica di fatto invece ne soffoca i germogli. Da questo punto di vista Soundreef si pone in maniera completamente diversa, La sua comunicazione sembra più in linea con le esigenze degli artisti, non ha un costo fisso e — molto francamente — mi è stata consigliata dal mio editore!
Grazie mille, Giuseppe e in bocca al lupo!