Popi Fabrizio è un grande compositore, autore e produttore italiano. Ha lavorato con artisti come Ornella Vanoni, Anna Oxa e Viola Valentino. Ed ha scelto Soundreef per la gestione dei propri diritti. Negli ultimi anni ha avviato un importante progetto per la costruzione di una scuola gratuita in Kenya: La Karibu. Il nostro Federico Camici si è fatto raccontare di cosa si tratta.
Ciao Popi, come stai? Come vanno i tuoi progetti legati a La Karibu?
Ciao! A dire il vero adesso c’è un’emergenza perché c’è stata un’ondata di piena del fiume Galana. Praticamente è uscito per 800 metri dagli argini. Si è portato via le case. Si è portato via i campi. Si è portato via tutto.
Il fiume Galana è il più grosso del Kenya che parte da sopra Nairobi, cambia tre volte il nome ma è sempre quello. E noi ce l’abbiamo lì. E’ distante neanche un km da La Karibu e, fra l’altro, è da lì che prendiamo l’acqua che poi viene pulita e data ai bambini e alla gente.
Partiamo dall’inizio. Come possiamo raccontare in poche parole La Karibu?
La Karibu Onlus è un’associazione familiare che si occupa dell’istruzione dei bambini di questa zona che si chiama Chakama da 15 anni. In pratica io quando ho deciso di cambiare vita, nel senso che ho lasciato tutto e me ne sono andato in Africa. Il mio scopo era quello: riuscire a mandare i bambini a scuola gratuitamente perché lì non ci sono le scuole gratuite.
Nemmeno le scuole del governo sono scuole gratuite. C’è sempre da pagare qualche cosa. Anche se è poco. C’è sempre qualche cosa. Allora io ho deciso di fare delle scuole gratis e mi sono messo a costruirle e La Karibu per l’80% fa questo: si occupa dei bambini, delle scuole. Ogni anno costruiamo un’aula nuova. Ora siamo arrivati a 8 aule. Quest’anno facciamo la nona. Dobbiamo arrivare a 13. Stiamo cercando di costruire un’infrastruttura che renda possibile tutto il percorso scolastico: dall’asilo alla primary alla secondary.
Facciamo questo: abbiamo aperto le nostre aule ai bambini gratuitamente. E oggi ci sono 404 bambini a scuola da noi.
Qual è stata la cosa che ti ha sorpreso di più nel venire a contatto con questa realtà?
E’ un’altra cosa. Un altro continente. Un altro mondo. E quindi ci ho messo un po’ di tempo ad entrare in quel mondo.
Arrivi lì con delle intenzioni o delle idee però alla fine devi chiedere a loro. Perché è inutile arrivare con delle idee tipo che gli vuoi portare i quaderni e invece loro hanno bisogno delle penne.
Certo… immagino
Io quando sono arrivato lì ero forte dei consigli di un grande amico inglese che è stato direttore della FAO per tanti anni a Nairobi. Mi ha detto: “guarda, tu arriva là. Dì che li vuoi aiutare ma fatti dire da loro in che cosa”. Ed io ho fatto così. Sono andato e mi sono trovato davanti tutta questa gente bella contenta che mi ha detto: “Noi vogliamo le scuole perché i nostri bambini devono avere la possibilità di studiare”. Io ero con un rappresentante del Governo Kenyota. Il rappresentante del Governo li ha divisi in gruppi: anziani, adulti, giovani e bambini. Gli ha dato dei grandi fogli chiedendo ad ogni gruppo di scrivere le proprie priorità. E dopo un’ora di discussioni hanno consegnato questo grande foglio e tutti e quattro i gruppi avevano messo al primo posto la scuola e poi dopo altre necessità.
Io ho detto: “Va bene. Che scuola sia!” Mi hanno dato gratis il terreno. E io ho fatto molta fatica all’inizio ad entrare nelle grazie delle donne. Le donne sono state molto diffidenti. A volte anche dure nel contrastarmi quando parlavo. Nel dire le cose. Gli uomini più aperti. Forse perché gli uomini pensano al lavoro e quindi pensano: “se ci porta lavoro, va bene”. Quindi ho fatto molta fatica ad entrare.
Poi stando con loro piano piano, giorno per giorno, alla fine qualcosa impari. Tranne la lingua che è veramente difficile. Però cominci a capire.
Quando io ho cominciato i lavori ho detto: “Chi è che vuole venire a lavorare?” per disboscare tutta l’area che mi avevano concesso. Era un’area di savana. Piena di rovi e cespugli. Sono venuti in tanti. Io gli ho detto :“La paga è questa. Pago ogni mese alla fine…” Loro hanno cominciato a lavorare ma dopo un po’ smettevano. Magari facevano 20 giorni e non venivano più. Io non capivo. Poi uno dopo un anno mi ha fatto capire che avrei dovuto pagarli ogni giorno. Non una volta al mese perché loro devono portare i soldi della giornata.
Nel loro modo di pensare c’è il fatto che magari lavorano 25 giorni del mese e poi magari il ventiseiesimo muoiono e non li vedono più i soldi.
Ci vuole tempo per capirli e per passare ad una conoscenza molto più approfondita. Ad esempio, non si possono accarezzare i bambini sulla testa perché per loro è un atto volgare. Figurati… Noi è la prima cosa che facciamo. Adesso ormai… sai, dopo 10 anni… non ci sono più problemi: sono Papa Popi. “E’ arrivato Papa Popi!” Insomma ora non ho più problemi se non litigare sul costo delle cose.
Loro chiedono sempre di più, però ormai ho capito com’è.
Andiamo un po’ a discutere ma poi niente di che…
Quando si è accesa questa spia dentro di te? Quando hai deciso di intraprendere questa avventura?
Eh… la spia (ndr ride). Si è accesa una lucetta!
In un viaggio che ho fatto nel 2006, un viaggio che ho fatto controvoglia.
Anche perché io non amo volare.
Però dei miei amici con cui andavo sempre in Puglia, a Santa Maria di Leuca, mi hanno detto: “Quest’anno si va in Africa!”. Ho detto: “ci andate voi in Africa. Io non ci vengo.”: le ultime parole famose.
Mi è toccato andare: mia moglie ha insistito. Però siamo andati ovviamente in un villaggio turistico e poi in Madagascar. Non in Africa. Era splendido. Bellissimo… ma era come andare a Santa Maria di Leuca. C’era la piscina, l’aria condizionata, i giochi sulla spiaggia. Sembrava di essere in Puglia.
Dopo pochi giorni mi sono stufato e ho proposto di andare a fare un giro fuori. Avevo visto delle belle situazioni dall’aeroporto al villaggio. E allora sono andato. Ho affittato una moto e sono andato in giro. Quel giro mi ha rincoglionito. Nel senso che andavo in giro e non capivo niente: guardavo questa gente, guardavo le case di fango con il fuoco fuori. Loro cucinavano e mi dicevano “amico amico, vieni…” perché sanno parlare un po’ di italiano e mi invitavano a mangiare e io mi dicevo: “Sono poveri che di più non si può eppure sono belli contenti che mi danno da mangiare, anzi si tolgono loro una parte di quello che è il loro poco cibo per condividerlo con me”.
Questa cosa mi ha commosso. Mi ha colpito emotivamente.
Andando in moto mi sono venuti i lucciconi.
Ed era anche un periodo in cui ero un po’ stufo della musica.
Come mai? Cosa era successo? La tua parte musicale l’hai portata con te lì?
Guarda… io pensavo. Pensavo di andare lì e di fare un bello studio di registrazione. Insomma credevo di poter vivere benissimo così in Madagascar ma ho capito poi che quella terra è talmente bella e pura che era talmente tutto bello e funzionava meravigliosamente che ho pensato che avrei rotto un equilibrio e questa cosa gli fa solo male. Perché noi portiamo il male. Non portiamo il bene.
Noi portiamo una civiltà che non so perché si chiami civiltà.
E allora quando sono tornato poi in Italia e mi sembrava che tutto facesse schifo. Siamo stati a fare un giro in Puglia e non mi sentivo più lo stesso. Tornavo dalle capanne e dal fango e mi dava un po’ fastidio questa cosa. Allora, siccome uno dei miei amici, di dove abitavo io in Toscana fuori Arezzo in un paesino mi diceva sempre: “Dai, quest’estate vieni con me che ho la casa in Africa. Vieni da me. Ti ospito io. Stai con me un mese. Ti faccio vedere…”. Io gli avevo detto: “No, no… guarda… grazie, preferisco di no.” E invece quando sono tornato l’ho chiamato subito. Gli ho detto: “Quand’è che vai in Africa?”. Mi ha detto: “A Pasqua!”. E sono partito anche io. Ero veramente andato ormai.
Anche mia moglie si arrabbiava. Mi diceva: “Maddai, ma stai con noi… Ogni due passi parli dell’Africa”. Ero diventato veramente matto. E allora sono andato. Poi ho convinto anche mia moglie. Le ho detto: “Tanto è a Malindi, un posto di mare… a Pasqua”. E da lì è cominciato tutto.
Diversamente dal Madagascar Malindi era una roba brutta. La maggior parte della gente è fuori di testa perché gli italiani che vanno lì li hanno abituati al nostro modo di vivere. E quindi sono tutti rovinati. Mi dicevo: “Però il posto è meraviglioso”.
Nella villa di questo mio amico c’era un cameriere, un tuttofare, che faceva da mangiare, faceva i letti, faceva il giardiniere e chiaramente parlava benissimo italiano perché era con loro da 10 anni. E allora sono diventato suo amico subito. Gli ho chiesto cosa si potesse fare. E alla fine ho capito che i bambini dovevano essere il mio obiettivo, il mio target. Li vedevo arrivare in spiaggia con i pulmini. Venivano e li scaricavano. Alcuni con la divisa, altri senza. Quelli con la divisa erano delle scuole e gli altri erano orfani. Allora lì è scattata. Lì si è accesa la lucetta. E non si è più spenta. Mia moglie mi ha detto: “Ma tu sei pazzo?!” E io ho fatto un po’ l’arrogante e ho detto: io faccio questo. Chi mi ama mi segua. Ero proprio andato!
Invece parlando un po’ della tua vita precedente.
Bella… eheheh (ndr ride)
Se dovessi parlare alla community degli artisti Soundreef che cosa consiglieresti ad un autore o a un artista che inizia oggi la sua carriera?
Eh, oggi è dura però, Federico.
Oggi c’è tutto un mondo completamente diverso da com’era quando vivevo di musica io.
Quando vivevo di musica, io e mio fratello andavamo dai direttori artistici con la chitarra a far sentire le canzoni. Capisci che insomma c’è un po’ di differenza. Era un mondo ancora in cui si poteva fare tanto.
Oggi bisogna percorrere le strade dei Talent e dei Social. Non c’è nient’altro.
Tutte cose che se fossero sane sarebbero anche belle. Però non sono sane. Come anche gli ultimi anni del Festival di Sanremo. Da quando io ho cominciato a fare Sanremo, Sanremo è cambiato totalmente: è diventato un business, è diventato un affare per i manager, per il Comune di Sanremo: cioè non è più quello che era prima. L’hanno stravolto. E infatti dimmi tu chi è venuto fuori da Sanremo negli ultimi anni: nessuno. Tutte figure che fanno magari un disco o due ma insomma… Io mi ricordo Sanremo in cui nella stessa edizione c’erano Grignani, Bocelli, Giorgia e Irene Grandi… per dire.
Oggi è dura perché non si vuol seguire il fatto che le belle canzoni sono essenzialmente testo e musica. Basta! Cioè le belle canzoni le devi fare con dei grandi testi e con delle belle melodie. Oggi non c’è questa attenzione. L’ultimo grande per me è stato Tiziano Ferro.
Faccio fatica a dare consigli ai giovani d’oggi. Vi potrei solo dire: ragazzi, riesce chi ha talento.
Chi ha talento. Insiste con i Social. Ha un modo suo di potersi promuovere. E’ indipendente. Lavora. Deve fare le serate. Deve andare in giro. C’è tutto un altro meccanismo che non è più quello che usavamo noi.
Per quello credo che oggi sia dura.
Ma una cosa che vorrei consigliare è l’umiltà. Ho incontrato giovani artisti che hanno perso troppo presto il contatto con la realtà.
Bisogna sempre ricordare che questa è una professione. E’ vero che tu canti per il piacere di cantare, per il piacere di essere artista ma alla fine quando fai i contratti vuoi i soldi, quando vai a fare le serate vuoi i soldi, per i diritti d’autore vuoi i soldi. Alla fine le canzoni le firmi tutte, anche se non sei autore, perché è un business. Questa è una professione. E la musica mi ha insegnato che chi ha successo, ha ragione.
E poi oggi scrivono tutti perché ne hanno la possibilità. Compri un software: con il computer scrivi. Dove va a finire la qualità? Nei testi c’è ancora lavoro ma sugli arrangiamenti molto poco.
Da un lato sono anche contento di aver smesso nel momento giusto.
Perché davvero nella scena di oggi non ci capirei niente.
Resta il fatto che io credo nella bella musica.
E quando c’è una bella canzone in ogni caso credo che il suo destino sia fare successo.
Grazie mille Popi! E’ stato una bellissima chicchierata.
In bocca al lupo per tutti i tuoi progetti.
Grazie a voi!