E’ appena uscito “Zaire”, il singolo che anticipa il suo nuovo album, ed è già suonato in tutto il mondo. Abbiamo parlato con DJ Khalab di Afrofuturismi.
Ciao, “Zaire” il tuo nuovo singolo è già suonato ovunque. “Single of the Week” per “Sounds of the Universe”. A breve uscirà l’album.
Che tipo di disco è? Cosa rappresenta nel percorso di Khalab?
Ciao, si. Sta andando alla grande, eppure non è una traccia particolarmente friendly. Il mio suono non è mai accomodante, è sempre abbastanza estremo, isterico, frenetico, ma credo che Sound Of The Universe o BBC piuttosto che Bandcamp Weekly abbiano percepito la consapevolezza e lo studio della materia prima che l’aspetto estetico, credo venga premiato quello.
Il disco sarà un disco molto importante per me e per il mio percorso.
Prima di tutto perchè non è stato rubato nessun campione ma i campioni usati provengono da un archivio di fields recording molto importante che è quello del Royal Museum di Bruxelles. Il museo mi ha dato la possibilità di attingere al proprio archivio ed è stato davvero entusiasmante. Poi dopo aver preso i campioni ed averli trattati utilizzandoli al minimo nel disco, mi sono fatto aiutare da molti musicisti, alcuni dei quali tra i più importanti della scena jazz contemporanea. Ecco questo è un punto importante per me, il fatto che nel disco ci sia molta attitudine jazz ed afro/contemporanea in generale, e poi chiaramente la ricerca in chiave elettronica. Il lavoro sul suono è stato molto lungo soprattutto da un punto di vista concettuale. Sono molto più concentrato sull’estetica del suono che sul contenuto ultimamente.
Utilizzo dell’elettronica ed etnomusicologia. Sembra essere la costante nella produzione di Khalab. Come gestisci l’equilibrio tra questi due elementi?
E’ più o meno da 15 che studio in questo ambito. sono appassionato di musiche africane, afroamericane e negre in generale. Vado sempre volentieri in Africa e faccio il dj in giro da una vita. Sono un beat maker come attitudine, appassionato di jazz e studioso della musica da quando so leggere. In Khalab tutto si incontra con naturalezza nel mio modo di fare musica.
Come nasce solitamente un brano di Khalab? Da cosa parti di solito: da una suggestione, da un ritmo, da un’armonia, da una melodia? A quale dei tuoi brani sei più affezionato e perché?
Di solito parto da un campione e prima ancora dalla ricerca di un certo tipo di paesaggio sonoro. Poi costruisco tutto intorno al campione facendolo quasi sparire nel processo finale. Uso un metodo molto intuitivo che poi viene lavorato in una seconda fase che è quella del mix del pezzo nel quale mi aiuta molto il mio compare Knuf. Ma il primo approccio, quello creativo di solito dipende dalla sensazione del momento. Sono molto legato a Substance e Walkiana, entrambi usciti su Black Acre, che sono stati i primi due pezzi nei quali sono riuscito a sintetizzare un suono tutto mio che nel tempo è diventato la mia timbrica riconoscibile. Poi chiaramente Tata, pezzo che si trova nel mio disco in collaborazione con il griot Maliano Baba Sissoko, che ha vinto il “best track of the year” ai World Wide Awards di Gilles Peterson…
Afrofuturismi. Che idea ti sei fatto delle nuove sonorità a cavallo tra elettronica e suoni tribali? Ti sembra che si possa parlare di una vera e propria scena o si tratta piuttosto di suggestioni che accomunano il sentire di diversi artisti da diversi luoghi del mondo? Come mai è accaduto?
L’afrofuturismo è una corrente che non riguarda solo la musica chiaramente e che ha come tema portante l’idea che la società e quindi la cultura della diaspora africana sia sempre più centrale rispetto alle evoluzioni in ambito sociologico e artistico. Tenendo fermo questo punto, possiamo quindi renderci conto che su questo tema gira da almeno 50 anni molta della musica e dell’arte nera contemporanea. Da Sun Ra a Black Panther, Da Kendrick Lamar a Itasha L. Womack. Proprio agli scritti di quest’ultima è ispirata la figura di Khalab.
Khalab nasce nella mia testa proprio come un essere venuto dal futuro che racconta al nostro presente quale sarà la musica del futuro prossimo. Una musica ritmica, frenetica, futuristica nei suoni, cupa nelle intenzioni e consapevole nei confronti del passato e delle origini della musica stessa.
Il motivo per il quale tutto questo sta esplodendo sempre di più è dovuto chiaramente a diversi fattori, la rete, gli spostamenti di massa degli esseri umani quindi le contaminazioni culturali, la moda quindi l’esplosione di alcuni fenomeni (Clap Clap, Kokoko, Khalab, etc…) che ha chiaramente spalancato le porte di questo approccio anche ad artisti bianchi. Il mondo è aperto, e dobbiamo essere aperti sia in entrata: quindi nell’accoglienza, che in uscita: quindi nell’esplorazione e nella curiosità verso le cose più distanti da noi, anzi da voi, perché io in quanto Calabrese sono molto vicino all’Africa. :-)))
Progetti per il futuro. Cosa succederà nell’universo Khalab dopo l’uscita dell’album? Stai già lavorando a qualcosa di nuovo?
Si sto lavorando a due progetti molto stimolanti. Uno da produttore vero e proprio perché sto producendo il disco di Tenesha The WordSmith, poetessa Californiana che declama versi densi e molto consapevoli sui miei beat. La On the corner ha appena pubblicato il primo singolo del disco.
L’altro è un progetto che ho iniziato a maggio del 2017. Sono stato invitato da una ONG che si chiama Intersos a visitare un campo profughi di 50 mila persone nel deserto della Mauritania al confine con il Mali e lì ho incontrato una comunità musicale autoctona, composta da musicisti Tuareg (perseguitati dal governo del Mali a causa della guerra civile in corso da 40 anni anche se a fasi alterne). Insieme abbiamo suonato e registrato musica per una settimana a 45 gradi all’ombra nel deserto.
E’ stata una esperienza lisergica che ora sto raccontando in un album che uscirà a metà 2019.
Siamo molto curiosi. In bocca al lupo!