Oggi abbiamo chiacchierato con Francesco Carlo, in arte Kento, rapper Calabrese da anni presente nella scena. Attraverso la sua musica e il suo libro, racconta se stesso e i suoi pensieri sulla società odierna.
Ciao Francesco! Il 5 giugno è uscito il tuo singolo “Tutto e Subito”, prodotto da Peight. A che punto della tua carriera arriva questo brano? Come si differenzia dagli altri che hai pubblicato?
Tutto e Subito arriva in un momento cruciale per me personalmente, visto che torno a una dimensione prettamente solista dopo due dischi con la band. Ma questo è un momento cruciale anche dal punto di vista collettivo: cruciale per la nostra Italia e per chi, con la musica o con ogni altra forma di espressione culturale, prova a dire qualcosa e a farlo sentire a voce alta. Il nuovo singolo si differenzia dai miei dischi precedenti prima di tutto dal punto di vista del sound: più moderno, aggressivo, tagliato su misura per il mio rap. E anch’io ho avuto molto tempo per studiare e per ascoltare musica. Penso che già dai primi secondi della canzone questo nuovo approccio risulterà estremamente evidente a chi ascolta.
Parlaci del video: Immagini di un tuo concerto che si sovrappongono con street art dal messaggio antifascista. Come mai hai scelto queste immagini?
La street art e il writing sono alcune delle manifestazioni più vitali, forti e controverse della nostra attualità. Semplicemente leggendo le scritte sui muri dei nostri quartieri – e il modo con cui convivono e si sovrappongono ai manifesti, la segnaletica e tutti gli altri messaggi – possiamo capire molto di quello che sta succedendo intorno a noi. È una semantica di strada parallela al rap, a cui il rap ovviamente deve molto, e a cui ho cercato di dare il rilievo che merita. Ci tengo a dire che il tutto non sarebbe stato possibile senza il supporto del collettivo Azione Antifascista Roma Est: chi ne volesse sapere di più non deve far altro che cercare su internet.
La tua carriera è iniziata negli anni ’90, periodo storicamente prosperoso per la scena hip hop, definito come la “Golden age” dagli americani. Com’era la scena in Italia invece? È molto diversa da oggi?
La scena era tanto diversa quanto la società italiana era diversa da quella di oggi. Basti pensare che non c’era internet… Ma a me onestamente annoia vivere nel passato: non sono un nostalgico e provo a tirare fuori ciò che mi stimola e mi incuriosisce da tutti gli anni che vivo. Oggi trovo tanto di brutto ma anche tanto di bello intorno a me: entrambi gli estremi mi ispirano moltissimo, e sicuramente ho più cose da dire adesso rispetto al periodo in cui ho iniziato.
Nel 2016 hai pubblicato “Resistenza Rap”, un libro autobiografico che riprende temi importanti come la rabbia verso una realtà politica e sociale insoddisfacente. Questa descrizione è valida anche nel contesto dell’industria musicale?
Già la definizione “industria musicale” è un ossimoro. Come si può fare “industria” di una cosa come la musica, che dovrebbe essere cultura, sogno, libertà, futuro? Ma è una contraddizione a cui siamo abituati, perché è lo specchio delle società che, come la nostra, sono basate sul profitto. Quindi bisogna trovarci degli spazi che siano veramente liberi, e non sono certo quelli che graziosamente “l’industria musicale” ci concede, perché di sicuro non lo fa in modo disinteressato. Da questo punto di vista sono molto fiducioso: se esiste il potere esiste anche il contropotere. Se esiste una pseudo-cultura allineata, esiste anche una controcultura da cui – come sempre nella storia– vengono fuori gli elementi più interessanti da cui costruire i prossimi linguaggi.
A tal proposito, credi ci sia un collegamento tra quello che ascoltano oggi i giovani e la situazione attuale di “smarrimento” nella quale si trovano? La musica può ancora essere uno strumento di insegnamento?
La musica può essere quasi tutto, nel bene e nel male. E i giovani sono spesso smarriti, fa parte della natura umana e sarebbe noiosissimo se non fosse così. Quello che vorrei è porre l’accento non soltanto sulla (imprescindibile) responsabilità di chi scrive e fa musica, ma sull’esigenza di costruire anche un ascolto consapevole e critico da parte di chiunque. Anche a me piacciono delle canzoni che magari mi trascinano con il loro ritmo anche se non ne condivido assolutamente le liriche. Un cantante, un rapper non è un maestro di vita. Sviluppiamo l’ascolto consapevole da parte dei ragazzi, piuttosto che invocare ridicole censure.
Cosa consiglieresti a un giovane artista che vuole iniziare il percorso da rapper? Qual è il segreto per scrivere testi di successo?
La ricetta per scrivere testi di successo la dovreste chiedere ai miei colleghi che hanno i dischi di platino appesi al muro… Mi sa che ne conoscete qualcuno, giusto? Il messaggio che io voglio dare ai ragazzi, invece, è: se volete conoscere veramente l’Hip-Hop, internet non basta. Certo, la rete è molto utile per acquisire informazioni. Ma, se volete sapere davvero cosa sta succedendo, uscite di casa. L’Hip-Hop è vicino +a voi, in ogni angolo d’Italia. Andate sotto i portici dove si balla la break dance, andate nei cerchi dove si fa freestyle, alzate gli occhi dagli smartphone e guardate i muri dipinti. Se il sabato sera vi trovate con qualche euro in tasca, invece di un paio di birre o di canne, pagatevi l’ingresso per un posto dove suona un dj vero. Uno con due giradischi e un mixer in mezzo, e che li usa. Non quelle stupidaggini che si vedono in tv. Vedrete che vi cambierà la vita.
Hai dei live in programma prossimamente?
Fortunatamente il calendario è ricco e in continuo aggiornamento, per le ultime info consiglio di cercarmi sui social.
Grazie mille e buona fortuna.
Di quella c’è sempre bisogno. Grazie a voi. Viva il lupo.