Abbiamo avuto il piacere di fare una bella chiacchierata con Marco Messina, storico producer e dub master dei 99 Posse, parlando un po’ di tutto: dalla Trap alla sperimentazione, da Napoli alla mescolanza di culture, dalla politica al diritto d’autore…
Ciao Marco, innanzitutto è un piacere averti qui con noi.
So che sei appena tornato dalla Francia dove sei stato per un live con Elem, con uno dei tuoi nuovi progetti. Come sta andando?
Ciao! Bene, grazie. Molto bene. Era la prima data da quando è uscito il disco nuovo.
Il concerto è piaciuto molto e abbiamo subito chiuso un’altra data a settembre sempre in Francia.
Insomma direi che i presupposti sono molto buoni.
Tu hai seguito tanti diversi progetti: dai 99 Posse a collettivi più sperimentali, collaborazioni ed esperienze soliste. E ora, per l’appunto, questo nuovo album di Elem. Ci puoi aiutare a fare il punto sul tuo percorso?
Certo! Elem è un collettivo di cui faccio parte. Sono uno di loro… e lo dico con gioia e orgoglio.
Per quel che riguarda me, non so se è normale, ma ho come un fuoco che mi divora dentro in maniera positiva che mi obbliga a non stare mai fermo e a non focalizzarmi mai su un’unica cosa. Questo mi porta quindi a fare tante collaborazioni e a dare vita a tanti nuovi progetti. Oltre a 99 Posse che, come dire, è la mia parte acquisita, la mia esperienza più importante e anche quella a cui sono più legato e non solo per una questione di anni ma anche perché mi dà l’opportunità di coniugare due cose che amo: la musica e l’impegno politico.
Poi ci sono Elem, per l’appunto, che è un trio a cui ho dato vita con un’artista visiva che si chiama Loredana Antonelli e Fabrizio Erbetico che è un musicista, compositore che insegna all’Accademia… eh no… al Conservatorio di Benevento. Scusami confondo con l’Accademia… perché sono anche io professore… e insegno Sound Design all’Accademia di Belle Arti a Napoli ed è un’esperienza molto bella che mi sta dando moltissime soddisfazioni. Poi tempo fa ho dato vita a un’etichetta con i Retina, che è un gruppo che fa musica elettronica sperimentale.
Abbiamo fatto un progetto insieme che si chiama Resìna.
Poi il progetto con Meg, Maria Di Donna.
Poi faccio tante colonne sonore, tra cui ho collaborato a tutti i film di Pietro Marcello che credo che sia uno dei registi italiani più rinomati anche all’estero, che tra l’altro tra due settimane inizia a girare il suo prossimo film proprio a Napoli.
Devo dire la verità: stamattina mi sono svegliato e ho pensato “Cavolo, sono proprio una persona fortunata”.
Lo dico felice ed anche con un po’ di senso di colpa perché poi c’è tanta gente che non è altrettanto fortunata.
Napoli. Se parla tanto bene ultimamente. Si dice stia cambiando molto in positivo. Questo cambiamento, se c’è, sta investendo anche la scena musicale? Vedi un rinnovamento interessante?
Guarda… devo dirti la verità: Napoli è sempre stata una città molto viva. Negli anni ‘70 e ‘80 abbiamo avuto tutta un’ondata con la scena dei Napoli Centrale: c’era grosso fermento.
Poi negli anni ’80 quando questa scena stava iniziando non a tramontare, perché comunque è una scena intramontabile, siamo arrivati noi, gli Almamegretta, i 24 Grana.
Adesso c’è una nuova generazione: oltre ai nomi Hip Hop famosi come Clementino, ci sono anche i Foya, ad esempio, un gruppo che potremmo definire neo folk. Poi io non amo tanto le definizioni, le etichette.
Quello che è cambiato rispetto ad un po’ di tempo fa è che la televisione non parla della spazzatura ma delle cose belle. Nel senso che, certo noi abbiamo avuto delle emergenze, però quale città non ha delle emergenze? Io non ho mai capito perché a Napoli i media molto spesso amano parlare di ciò che non va. Adesso si è invertito un po’ il trend però quasi sempre i media nazionali parlavano sempre solo delle problematiche di Napoli e non parlavano mai delle cose belle della città. Adesso questa cosa è cambiata e quindi iniziano ad arrivare i turisti.
Io a volte scherzo: abito nel centro storico e mentre cammino per il centro a volte dico “Basta, se ne devono andare…” (ndr ride) perché ci sono volte che non si riesce a camminare. Ovviamente questa è una cosa che oggi ricade soprattutto sulle persone che hanno degli esercizi commerciali come alberghi, ristoranti a cui va benissimo. Io spero che questa cosa un po’ alla volta ricadrà su tutta la città. Ma certamente già il fatto che quando cammino per strada sento parlare tedesco, francese, inglese, olandese e veda facce nuove mi rende felicissimo. Uno dei motivi per cui questa mattina mi sono svegliato felice è proprio perché io di ritorno da Lione in aeroporto erano quasi tutti stranieri che stavano venendo a Napoli in visita o stavano tornando a casa dopo la vacanza napoletana.
Tornando alla musica e ad Elem. Parliamo dell’album “Godere operaio”. Come ci avete lavorato? Con che idea? Cosa rappresenta Elem nel tuio percorso?
Guarda… Elem è un progetto nato quasi per caso. Ci trovavamo a Napoli in un posto che si chiama l’Ex Asilo Filangeri e dovevamo fare dei concerti in una serata collettiva. Ad un certo punto ci viene in mente l’idea di fare una jam tutti quanti assieme. Invece di ognuno fare il suo set di 20 minuti, abbiamo detto “siamo tre musicisti + una dj e invece di fare tre dj set separati, uniamoci e facciamo un set tutti insieme”. Improvvisammo. La cosa ci piacque tantissimo. Ci divertimmo. Piacque anche al pubblico. E da lì decidemmo di farlo diventare un progetto. Mentre lavoravamo a questo disco “Godere Operaio” abbiamo perso un pezzo, che era Emanuele Erranti, che è anche lui autore Soundreef, quindi probabilmente ci vedrà dal sito.
Durante la lavorazione del disco abbiamo iniziato quindi a cercare dei campioni vocali perché l’idea era quella di… sai… alle volte l’elettronica strumentale tende un po’ a perdersi perché non riesce a dare un senso che non sia musicale. I campioni vocali invece praticamente riescono a veicolare meglio il discorso a coloro che non sono proprio dentro a questo genere di musica. E mentre cercavamo dei campioni di voce da utilizzare, è uscito fuori un campione di voce di questo indiano metropolitano che nel 1977 contestava l’allora segretario dei Giovani Comunisti Italiani Massimo D’Alema, giovanissimo… una scena, guarda (ndr ride)… e lui inizia, cosa tipica degli indiani metropolitani che erano situazionisti, goliardici… inizia a trasformare tutti i nomi dei movimenti politici degli anni ’70 in termini, appunto, goderecci. Quindi “Potere operaio” diventa “Godere operaio” e “Movimento studentesco” diventa “Godimento studentesco” e via dicendo. La cosa ci è piaciuta talmente tanto che l’abbiamo campionata e l’abbiamo inserita dentro un nostro brano e poi, strada facendo, la cosa ci è piaciuta talmente tanto che abbiamo deciso proprio di dare il titolo all’album anche perché a me piace molto cercare di far capire, in un momento in cui la gente pensa che la politica sia qualcosa di noioso e sporco, che la politica dipende da come la fai e con chi la fai. Una cosa che io amo sempre dire è che tu puoi anche disinteressarti della politica ma purtroppo la politica non si disinteressa da noi.
Probabilmente se per tantissimi anni in Italia c’è stato il Monopolio della SIAE non si è avuta la possibilità di scegliere. E questo è uno dei motivi per cui sono più contento di essere passato a Soundreef: aver dato il mio contributo per far capire alla SIAE che era ora di cambiare. E di questa cosa sono molto contento.
Io credo che sia i musicisti che le società di Collecting ora debbano essere uniti e battersi per migliorare le condizioni della cultura e dell’arte e le prospettive lavorative e di guadagno di chi ne ha fatto un mestiere.
Ci sono moltissimi musicisti che sono bravissimi ma che purtroppo non riescono a sbarcare il lunario e finiscono per cambiare mestiere nonostante facessero della bellissima musica. Ecco. diciamo… ci è piaciuto poter dare un contributo nel capire che anche la gestione del diritto d’autore può essere fatta in un certo modo. E pur essendo una questione apparentemente noiosa per i musicisti è una tematica legata al mondo del lavoro che deve essere affrontata con gioia e con senso di unità.
Io nella vita mi sono divertito tantissimo facendo politica.
Tornando alla musica, quanto è importante continuare a sperimentare e a mettersi in gioco? E’ possibile coniugare aspetti come immediatezza e sperimentazione sia in ambito pop che in ambito colto?
Guarda… visto che un po’ di anni li ho, mi sento di dare un consiglio ai ragazzi più giovani. Anche perché frequento dei forum, dei gruppi su Facebook di musicisti e mi confronto con un sacco di persone. Innanzitutto, permettetemi il termine, io credo che ogni musicista, ogni artista debba fare sempre la sua m***a. Quando tu magari cerchi di aggiustare il tiro per inseguire una moda col rischio di non riuscire a farla bene perché stai in un certo qual modo sacrificando il tuo estro.
Io credo che ognuno debba sempre fare quello che ha dentro e mai cercare di inseguire le mode. Anzi se tu fai quello che hai dentro e insieme a te lo fanno tante altre persone diventi tu la moda. Come dire… io penso che la scena dei 99 Posse all’epoca con gli Almamegretta, i Casinò Royale, eccetera… ha fatto la storia perché ha spinto in una direzione in cui nessuno prima avrebbe spinto e abbiamo creato una nostra scena. Abbiamo creato una moda. L’hanno fatta oggi i ragazzi che ad esempio fanno Trap che è un genere che a me piace. C’è solo una cosa che non amo della Trap: secondo me denota un po’ un problema che c’è oggi, la mancanza di sperimentazione. Faccio un esempio: mi piacerebbe ci fosse un artista che dice: “cavolo, mi voglio inventare un effetto nuovo da mettere sulla voce perché mi sono rotto il c***o di usare l’autotune che usano tutti”. Manca un po’ di coraggio, di voglia di mettersi in discussione, di sperimentare: questa è l’unica cosa che mi manca della Trap.
E poi per esempio anche in quel caso… amo Ghali, ad esempio, perché sento in lui un artista, uno che resterà. Se è vero che un artista deve fare la propria m***a, lui rientra in questa categoria. E’ autentico. Si racconta. La sua vita, il suo vissuto, le sue paure, le sue ambizioni, i suoi desideri e questa cosa è una cosa che si sente. La percepisci. Quando qualcuno finge, quando qualcuno dice qualcosa non perché gli vien da dentro ma perché pensa se io dico questa cosa smuovo qualcosa nel pubblico il successo è quasi sempre effimero. Poi ad un certo punto la gente si dimentica. Tu fai un pezzo. Lo fai bello. La gente lo canta, lo fischietta perché la musica ha quella magia per cui ci sono dei pezzi che tu senti e ti ritrovi a fischiettare. A me è successo un po’ di volte con grande sgomento di ritrovarmi a fischiettare, questo molti anni fa, “I’m a Barbie Girl in a Barbie World” che era un pezzo che trovavo orribile. Però effettivamente quel pezzo aveva quella magia che ti catturava e ti entrava in testa che tu non riuscivi a non canticchiare. Questa è quella magia che fa diventare un pezzo famoso però quando a questo aggiungi che tu stai raccontando una storia vera. Sei sincero. E’ quella marcia in più che ti rende in un certo senso un po’ esagerando “immortale”. Nel senso è un po’ quella magia in cui i ragazzi che, quando è uscita Curre Curre Uaglio ancora dovevano nascere, oggi la cantano.
E io sono convinto che tra 20 anni o 25 anni i ragazzi che nasceranno qualche anno dopo un pezzo di Ghali lo canteranno perché tu senti e percepisci che questa persona è onesta e ti sta raccontando una storia sua, una storia vera. E questo è un fatto che apprezzo molto di Ghali. Poi di Ghali apprezzo anche il fatto che rappresenta l’Italia del futuro, cioè l’Italia multiculturale. Forse il paradosso è che non ricordo negli ultimi 20 anni un artista che facesse un pezzo che dichiarasse l’amore per il suo Paese ed è paradossale che questo pezzo l’abbia fatto qualcuno che per troppi italiani non è italiano.
Certo… chiaro.
E poi io credo che le cose più belle in musica nascano dalla mescolanza. Ad esempio, a Londra le cose più interessanti ci sono state quando sulla cultura musicale inglese si è innestata la cultura musicale di altri posti nel mondo. Tanti ragazzi nati da immigrati arrivati a Londra, di prima, seconda, terza… a volte anche quarta generazione. Faccio un esempio un po’ vecchiarello: gli Asian Dub Foundation. Sentivi il suono di Bristol, il suono inglese innestato alle sonorità indiane. Credo che il futuro sia quello.
Come una volta ho scritto su Facebook: il futuro è “Camminare per i vicoli di Napoli e sentire l’odore del ragù mischiarsi con il curry”.
Una curiosità: cosa pensi di tutti quei producer elettronici che si rifanno a veri e propri studi antropologici e quindi vanno a ripescare culture altre: penso a Clap Clap che va prendere la tradizione africana innestandola nella cultura clubbing?
Beh, io credo che qualsiasi cosa dipende da come la fai. C’è anche ad esempio Populous che ha fatto un esperimento molto interessante. Ci sono tante cose. Io stesso ho partecipato qualche anno fa ad un progetto del Goethe Institut molto bello che si chiamava “Ten Cities”, dove il Goethe Institut, l’istituto di cultura tedesca, gemellava 5 musicisti europei con 5 musicisti africani. Io mi sono ritrovato catapultato a Luanda, la capitale dell’Angola. Sono esperienze ovviamente diverse. Hanno un approccio più intellettuale nell’accezione positiva del termine. Quando tu le fai con rispetto per la cultura che stai abbracciando, che stai studiando, che stai conoscendo e con l’amore escono delle cose clamorosamente belle.
Grazie mille Marco e in bocca al lupo!