E’ uno dei nomi più citati quando si parla di elettronica made in Italy. Venerdì tra i protagonisti di Manifesto al Monk di Roma. Abbiamo avuto il puiacere di fare una chiacchierata con lui e di cercare di strappargli qualche anticipazione…
Ciao Pietro, con il tuo nuovo album “Where the World Ends” ti sei tolto diverse soddisfazioni. Mixmag, ad esempio, lo ha inserito tra i 50 migliori album del 2017. Che effetto ti fa?
Sono sicuramente gratificazioni, è bello avere riconoscimenti del genere dopo anni di sacrifici e lavoro anche se in realtà dopo i primi 5 minuti di euforia di solito torno immediatamente alla realtà e penso a tutto ciò che viene immediatamente dopo.
Alla tua musica sono da sempre successe cose incredibili. Ad esempio, la bassista dei Primal Scream, Simone Marie Butler, ha inserito “Cascades” tra le tracce preferite del suo radio show. Come è accaduto?
Sinceramente non so dirti come sia accaduto che Cascades arrivasse alle orecchie di Simone Marie Butler, però è anche questo il bello no? Realizzi una cosa e poi scopri che è arrivata in posti che magari non vedrai mai, posti lontanissimi o magari a musicisti di spessore come in questo caso. A volte capita che mi arrivino messaggi dal Giappone o dall’Australia e sebbene consideriamo ormai scontato “connetterci” con il resto del mondo, trovo questa cosa incredibile. C’è da dire anche che ho conosciuto il mondo prima di internet e forse anche per questo mi meraviglio tanto.
Come ti sembra oggi la scena elettronica oggi in Italia? C’è fermento? Quali sono a tuo avviso le cose più interessanti? E nel resto d’Europa?
Ci sono progetti molto validi e in alcuni casi anche affermati ma che esistono anche da un po’ di tempo. Penso ai vari Populous, Clap Clap, Donato Dozzy, Machweo per citarne alcuni. Fermento sinceramente no, forse due o tre anni fa ti avrei detto di si, avevo la sensazione che stesse per accadere qualcosa, almeno per quello che riguarda la musica elettronica in Italia. Adesso mi sembra che la situazione sia un po’ ferma, ad esempio non vedo nuovi progetti interessanti all’orizzonte, spero di essere smentito al più presto ovviamente.
Nel resto d’Europa Inghilterra e Germania continuano a dettare la linea, c’è poco da fare.
Tu come ti sei avvicinato all’elettronica? Quando hai iniziato a produrre i tuoi primi brani? Come è successo?
E’ successo al mio primo anno di università. Un mio coinquilino di casa smanettava su un software, Fruity Loops, e ho iniziato a giocarci anche io. Nello stesso periodo ascoltavo i Massive Attack che mi aveva passato il mio vicino di casa e lì mi si è aperto un vero e proprio universo. I primi brani erano davvero terribili. Li ho registrati su cd e ancora oggi ogni tanto, quando sono in fase di blocco creativo e quasi depressione me li riascolto per ricordarmi che c’è di peggio. Devo dire che è un metodo che funziona.
Indian Wells come compositore. A quale dei tuoi brani sei più affezionato e perché? Come nasce solitamente un tuo brano? Da cosa parti di solito: da una suggestione, da un ritmo, da un’armonia, da una melodia? Hai dei momenti della giornata o della settimana in cui preferisci dedicarti alla composizione?
Sono molto affezionato a “Parola” che è la traccia conclusiva del mio ultimo disco, “Where The World Ends”. Per me ha rappresentato la fine di determinate cose e l’inizio di tante altre, in un momento un po’ particolare della mia vita.
Solitamente parto da un’idea molto visiva, da immagini neanche troppo a fuoco, ecco potrei dire “percezioni”. Poi lascio che il resto accada. A volte può essere una melodia, a volte un suono, non ho regole. Per molto tempo ho composto prevalentemente di notte e credo che questo abbia in qualche misura influenzato la musica stessa. Ora che faccio una vita molto più regolare preferisco comporre nel tardo pomeriggio quando riesco.
Il prossimo weekend sei tra i protagonisti di Manifesto, uno dei più interessanti festival in Italia dedicati ad elettronica e sperimentazione. Che cosa proporrai? Tra gli artisti con cui dividerai il palco ce n’è qualcuno che non hai ancora visto live? Quali sono gli act che attendi con maggior interesse?
Suonerò quasi tutto il disco nuovo e un paio di tracce su cui sto lavorando, inedite. Mi piace sempre sperimentare nuove tracce dal vivo prima che escano ufficialmente. Inoltre ad accompagnarmi ci saranno per la prima volta i nuovi bellissimi visuals a cura di Dan Tombs, artista inglese che lavora con gente come James Holden o Jon Hopkins, sono davvero molto contento che abbia accettato di lavorare anche con me. Per quanto riguarda gli act sono molto curioso di vedere sia Alessandro Cortini che Nosaj Thing, non li ho mai visti dal vivo e sono un grande fan di entrambi.
Progetti per il futuro. Su cosa stai lavorando?
Sto lavorando su nuovo materiale ma non so quando uscirà. Poi mi piacerebbe fare un disco ambient… magari sotto altro nome. E poi forse mi fermo per un po’.
In bocca al lupo, Pietro!
Ci vediamo venerdì a Roma.