“Faccio cose a metà tra pop e cantautorato – ma non pensate ai falò sul mare e ai boy scout, se possibile: non quel cantautorato”. Così parla di se Giovane Giovane. Abbiamo voluto andare a fondo e intervistarlo.
Ciao Paolo! Giovane Giovane. Una dichiarazione di intenti? Come e quando nasce il progetto?
Non so, ho registrato in studio dieci canzoni, una di queste usa un giro di chitarra che usavo per un’altra canzone nel 2006, “Luigi” è una cosa che pensa a Tenco che avevo in mente da un po’, ma ho effettivamente buttato giù nel 2015. Prendiamo il 2015 come data di riferimento, ossia come il periodo dei provini chitarra e voce al Mac su Photo Boot e poi fatti sentire agli amici.
Ho intenti molto alti – fare questo di lavoro – ma anche molto bassi – l’intenzione reale era quella di finire di dire cose a una determinata persona, e adesso ho finito, e sperare di trovare col tempo almeno un marchio di occhiali da sole che mi offrisse occhiali gratis, perché ho solo roba da 15€ che fa male agli occhi.
Hai parlato di “Luigi”: come è nato il brano? Come lo hai scelto come primo singolo del tuo percorso?
C’è un giro di accordi – che è Do-Fa-Mim, Do-Fa-Mim, Lam-Fa-Mim, quindi una roba semplicissima e molto melodica – sul quale per qualche motivo mi riesce più facile trovare parti vocali, quindi lo uso spesso, spostando il capotasto sulla chitarra sennò suona tutto uguale.
L’ho scelta come prima pubblicazione perché qualche amico mi ha consigliato di far uscire per prima la canzone che mi piaceva di più, a me piace, ai miei amici di solito piace, quindi ho pensato “ok”.
Testi e musica. Cosa nasce prima per Giovane Giovane?
Generalmente musica, almeno a me succede che mi sento una cosa in testa, me la registro subito al cellulare sennò la dimentico, e nei minuti successivi ci butto giù parole a caso in italiano per avere un’idea di metrica, e quindi di ritmo, che può piacermi – oppure vado col finto inglese, che in questi casi funziona sempre -, arrivo a casa e ci registro sopra un giro di chitarra o di piano.
Scrivere musica. A cosa un autore non dovrebbe mai rinunciare?
Non so darti una risposta che valga per chiunque, dipende dal motivo per cui uno scrive e suona.
C’è quello che vuol farci i soldi, quello che suona per tristezza o per emulazione, quello che spera che suonare porti ragazze – se suoni per un obiettivo specifico quello che fai è ovviamente vincolato a quell’obiettivo, e hai meno libertà, ma non so quale sia il mezzo per arrivare ai soldi o alle ragazze, sennò lo avrei già usato.
Se suoni per l’obiettivo di suonare, credo sia fondamentale fare cose per cui non ti vergogni – il che forse è incompatibile con l’obiettivo di farci i soldi, ma il concetto di “vergogna” è chiaramente molto soggettivo e fluido, e non sono comunque sicuro di questa mia ultima affermazione.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Fare date in giro, continuare a scrivere, trovare qualcuno che mi paghi prossime registrazioni o che me le faccia gratis.
Negli ultimi anni la scena indie si è impossessata dei codici di una parte della tradizione della canzone italiana. Penso ad artisti come Calcutta e a tutta una parte della scena indie che ha mostrato un simile approccio. Come è avvenuto questo processo secondo te?
C’è una letteratura, su questo argomento, tra chi segna come data d’inizio il primo disco de I Cani, tra i più giovani che non conoscono Contessa e sono musicalmente nati con Calcutta, personalmente direi però che il peccato originale vada attribuito a Contessa.
Ovviamente poi esiste una serie di fattori – è cambiata la comunicazione, è cambiato il lavoro degli uffici stampa, chi ha fatto i numeri – penso ancora a Calcutta, a Carl Brave & Franco – ha avuto strategie e un lavoro molto personale, che andava bene per il suo progetto proprio perché si trattava di quel progetto, c’è stata un’attenzione crescente delle radio, c’è stato Pierluigi Pardo e le televisioni.
Quali sono i fenomeni più interessanti oggi in Italia e all’estero?
Che le grandi aziende che fanno chitarre rischino il fallimento è un fenomeno interessante, ma già vecchio.
Poi, le produzioni: c’è un’attenzione sempre maggiore in Italia per produzioni belle che sono uno spunto, anche se è roba che non farai mai e che non ti appartiene è interessante capire il lavoro che c’è dietro.
Se per fenomeni intendi anche dischi, nel 2018 le fisse sono state per adesso Snail Mail, Jorja Smith, serpentwithfeet, Ady Suleiman, Young Fathers e una serie di cose minuscoli che esistono solo su bandcamp.
In Italia – ma ho una visione parziale, c’è un sacco di cose nuove che non mai ascoltato – la cosa più interessante per ampissimo distacco, proprio come progetto, come fenomeno anche extramusicale, come immaginario, è la Lovegang.
Poi ovviamente c’è Edoardo, che nel pop non è la cosa più interessante, non è la più fresca, ma è proprio la più bella che abbiamo, e gareggia a sé.
Perché Soundreef?
Perchè è gratis e perchè SIAE non mi intervistava.
Grazie Paolo e in bocca al lupo!