Esce oggi “Esercizi per scomparire”, il nuovo lavoro discografico di Diego Nota. L’ex Ultimavera ritorna sulla scena della musica italiana indipendente a 5 anni dal suo precedente album da solista, “Anarchia cordis” (2013, autoprodotto), con un lavoro dai toni low-fi con stile cantautorato e new wave elettronico. Abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche parola con lui.
Ciao Diego, cosa è accaduto in questi 5 anni?
Ciao, in questi cinque anni ho cambiato quattro città, forse è stata questa la causa del ritardo tra un disco e l’altro. Durante questo tempo ho approfondito due aspetti per me fondamentali: ho cercato di imparare a registrare un disco in home recording, acquistando le attrezzature adatte e seguendo più corsi possibili. Inoltre ho ascoltato musica che negli anni passati non avevo preso in considerazione, come ad esempio il pop internazionale, che può per certi versi essere troppo commerciale, ma per altri fondamentale per l’importanza della spazialità che ogni strumento assume nell’economia della struttura del brano.
Ho iniziato a registrare da solo, mi sembrava una cosa impossibile, poiché sono sempre entrato in studio di registrazione senza capire neanche la funzione di un compressore. Ho iniziato a toccare la musica con mano dal punto di vista del fonico e del produttore, e mi sono sentito come fossi nella bottega di un artigiano, mi è piaciuto moltissimo.
Che tipo di lavoro è stato? Cosa è cambiato nella tua scrittura?
In parte ti ho già risposto nella domanda precedente, nel senso che il primo disco, Anarchia Cordis, l’ho realizzato in uno studio di registrazione, Esercizi per scomparire invece è interamente realizzato in home recording.
La scrittura dei testi credo abbia avuto una sorta di frenata nei confronti della rabbia, del risentimento e dell’odio; sentimenti che permeavano molte canzoni di Anarchia Cordis.
In Esercizi per scomparire i personaggi si sentono smarriti, stanno per cadere, sono perplessi, non si riconoscono. Sembrano saliti su una logorante giostra che li porta verso lo stordimento.
A cosa un cantautore non deve mai rinunciare?
Secondo me sono due le cose cui un cantautore non può rinunciare: la smodata ricerca verso il suono delle parole, anche quando non sta scrivendo. Guardare la tv, andare al cinema, parlare con un amico, scambiare due chiacchiere con il fruttivendolo, leggere un libro, sono tutte occasioni buone per captare il suono delle parole. Il connubio di due parole giuste può essere una buona occasione per iniziare a scrivere un testo.
La seconda cosa è un misto di due ingredienti letali: l’auto commiserazione e l’auto esaltazione. Queste due bombe quando entrano in contatto tra loro esplodono creando una fusione abbastanza interessante e produttiva nel nostro cuore.
C’è un brano nell’album a cui sei particolarmente legato?
Sono legato a Kong. E’ stato l’ultimo brano in ordine cronologico che ho composto. Per me rappresenta un filo conduttore, una linea stilistica da seguire nella stesura del prossimo disco, soprattutto per le sonorità elettroniche.
Come ti sembra oggi la scena in Italia? Quali sono le cose più interessanti? Cosa è cambiato a tuo avviso?
Secondo me è cambiato il modo di approcciarsi al grande pubblico. Parlo però di musica indipendente.
Ho come l’impressione che il musicista indipendente abbia trovato da una parte la chiave per farsi apprezzare da un pubblico più vasto, dall’altra abbia perso l’essenza che lo rende diverso, particolare, estraneo a certe dinamiche mainstream. Questo approccio di conseguenza rende la scena italiana più interessante, più ricca di scelta.
Fantacultura/fantapolitica. Se fossi ministro della cultura per un giorno che cosa faresti per dare una mano allo sviluppo del settore?
Questa è una domanda molto difficile. Non ho mai preso in considerazione il fatto che in Italia ci possa essere qualcuno che al governo possa tutelare i diritti degli artisti. Non mi sono mai sentito tutelato sotto questo aspetto, ma non ti nascondo che sono anche poco informato, quindi qualunque cosa dica risulterebbe sterile ed inappropriata. Se io fossi però il ministro della cultura inserire nuovi strumenti durante l’ora di musica (ammesso che esista ancora l’ora di musica), come ad esempio il sintetizzatore. E’ uno strumento utile a capire la forma dell’onda sonora, potrebbe legarsi anche allo studio di altre materie scientifiche.
Perché Soundreef?
Ho scoperto Soundreef qualche giorno prima di mandare il disco in stampa.
Un mio caro amico mi disse di aver abbandonato la SIAE e di essersi iscritto a Soundreef.
Ebbe un’ottima impressione perché risposero con puntualità a tutte le domande che lui fece tramite mail. Mi convinse e mi iscrissi anche io.
La community di artisti che ha scelto Soundreef si sta mostrando molto unita, collaborativa e costruttiva. Che cosa potrebbe, anzi dovrebbe, fare insieme?
Io sono un neo iscritto e quindi mi aspetto di conoscere questa comunità. Se ci fossero festival o momenti di aggregazione potrebbe essere una buona opportunità per conoscere e farsi conoscere.