Questa è la storia di un musicista italiano che ad un certo punto, una quindicina d’anni fa, decide di cambiare radicalmente aria diventando uno dei più richiesti percussionisti / poli strumentisti in circolazione nell’ambiente jazz, house, soul, hip hop.
Benvenuto in Soundreef, Gabriele Poso!
Ciao Gabriele! Ho letto la tua bio… è pazzesca! Hai fatto un sacco di esperienze fichissime. Sei direttore d’orchestra e hai collaborato con tantissimi artisti tra cui uno che ha addirittura vinto un Grammy…
Si… (NDR ride). Ho collaborato anche con un artista che ha vinto un Grammy: si chiama Osunlade che tra l’altro è stato anche il produttore del mio primo album.
Per intenderci, è tra i produttori di Lauryn Hill.
Ha fatto un po’ di robe abbastanza major. Poi si è stancato, si è trasferito a New York e si è aperto un’etichetta e ha fatto musica “underground” indipendente spingendo artisti che facessero musica più con il cuore che per l’aspetto economico. Poi aveva pensato di mettere su una band che all’inizio univa un po’ di gente sparsa in tutto il mondo. Abbiamo lavorato un po’ in giro.
Mi parli di New York, ma ho visto che il tuo percorso formativo è stato abbastanza variegato. Sei stato davvero ovunque…
All’inizio, fino all’età di 18-19 anni, ho studiato a Roma in un istituto di percussione popolare che si chiama Timba e poi mi sono spostato a Puerto Rico, ho studiato li all’Università Inter-Americana di Puerto Rico e poi ho fatto degli stage formativi alla Escuela Nacional de Arte a Cuba.
Come nasce il tuo rapporto con Gilles Peterson?
In realtà io l’ho conosciuto per la prima volta con questo produttore quando siamo andati a suonare in uno dei suoi primi eventi a Londra. Ci siamo incontrati un paio di volte in diverse occasioni e poi ho ricevuto l’invito per suonare. Siccome stavamo facendo un live a Londra con il duo, lui sapeva che eravamo li e ci invitò in radio per fare uno showcase in diretta.
Hai parlato di “duo”; quindi giri con più formazioni?
Si, in realtà dipende dal club e da tutto il resto, però la formazione può essere in duo o trio. Quella completa è l’organic trio in realtà. Ogni tanto mi capita anche di andare in giro con il DJ set.
E l’organic trio che formazione prevede?
Io canto, suono la chitarra, percussioni, drum-machine e un po’ di synth. Poi c’è il tastierista che si occupa delle sequenze, dei bassi, del synth e del piano e poi c’è il batterista.
E invece in duo vai soltanto col batterista?
No, solo col tastierista. Anche se raramente utilizziamo questa formazione a meno che gli spazi non siano veramente ridotti. L’alternativa sarebbe quella di un DJ set dove vado da solo.
Come sei arrivato al tuo ultimo album “Awakening”? Il live che stai proponendo adesso in giro è figlio di quell’album?
Allora i live che proponiamo sono figli di 20 anni di musica (ndr ride). Quell’album, uscito nel 2018, è uno step di un percorso creativo che sto facendo. Ci siamo trovati in studio con la band e lo abbiamo sviluppato.
Tu di solito come scrivi i brani?
In realtà non c’è un “modus operandi” sempre uguale. Magari ci sono delle idee che vengono in studio, e altre volte invece insieme alla band si sviluppano in maniera differente. Non seguo mai un iter preciso.
Progetti per il futuro? Su cosa stai lavorando?
Adesso abbiamo finito l’altro album, registrato interamente con l’organic trio in presa diretta, vecchio stile, “buona la prima”. Ci sono un po’ di collaborazioni, vari “featuring”… quindi non ci sono solo io che canto.
È la potenza sonora del live che abbiamo riportato sul prodotto fisico.
Siamo molto contenti di ciò che ne è uscito fuori.
Tu hai girato tanto, che impressione hai quando ti riaffacci in Italia e vedi la scena italiana oggi?
In realtà sul mercato italiano ci lavoro solo da 2 anni. Nel 2008 ho prodotto il mio primo album, e dopo 10 anni sono riuscito a lavorare anche in Italia. È un po’ difficile perché c’è una cultura che è diversa dai nostri fratelli europei o cugini in altri territori. Però naturalmente sta cambiando notevolmente nell’ultimo periodo. Questa è una mia osservazione personale. Penso ci sia molta più attenzione sulla musica di qualità, fatta bene. Ci sono molti più spazi rispetto a prima. Sembra che la scia sia buona. È un segnale ottimo rispetto a quando ho iniziato io, nel 2008, che giravo all’estero e c’erano meno spazi, meno festival, meno persone interessate che ne parlavano. Adesso invece c’è un’attenzione un po’ più rilevante.
Ultima domanda: Perché Soundreef?
La realtà è che c’è una ventata molto fresca. Fino a poco fa, dopo aver dato il recesso alla SIAE, ero con BMI. Avevo voglia di ritornare in Italia e il vostro lavoro mi ha dato una giusta ragione, anche perché sembra un prodotto fresco, adeguato ai tempi, che cerca di soddisfare gli addetti ai lavori piuttosto che le tasche di pochi singoli.
Grazie mille Gabriele, e in bocca al lupo per tutto!
Grazie a voi!