Si chiama Gianluca Isoardi, in arte FunkyPein, classe ’95. Lo abbiamo scoperto mettendo il naso nel catalogo. E non abbiamo potuto fare a meno di intervistarlo.
Ciao! Quando e come inizia il percorso di FunkyPein?
Ciao a tutti e grazie per lo spazio dedicatomi.
Il mio percorso musicale ha avuto inizio circa 10 anni fa quando in seconda media mi sono avvicinato alla musica metal e all’hard rock ascoltando i vinili di mio padre. Ho imparato a suonare la chitarra elettrica da autodidatta e mi sono appassionato fin da subito alla musica rap quando al primo anno di liceo, grazie a dei compagni di classe, ho scoperto il mondo del freestyle e ho iniziato a improvvisare le rime sulle strumentali americane. Dopo aver assimilato i concetti di metrica e flow ho iniziato a scrivere le mie prime liriche e a registrare i miei primi brani in studio.
“Bon Voyage”: come nasce il brano? Come è stato accolto il singolo da pubblico e critica? E quali sono i prossimi obiettivi che ti sei posto?
“Bon Voyage” nasce da un dissidio interiore, da un misto di incertezza e di perplessità nei confronti delle aspettative del proprio futuro e nel modus vivendi del proprio presente. È un brano che parla dell’indecisione propria di chi non sa se restare nel proprio paese natio e convivere con le condizioni lavorative e sociali che lo avviliscono o se emigrare all’estero in cerca di un ambiente più stimolante con lo scopo di raggiungere una maggiore stabilità economica e mentale e sentirsi in qualche modo più appagato. È un testo che ho scritto in seguito alla partenza di un paio di cari amici che si sono trasferiti all’estero poiché insoddisfatti dalle poche opportunità offerte dallo stato italiano.
Penso che il mio pubblico, formato sostanzialmente dai miei amici e dai miei coetanei che abitano nella città in cui vivo, abbia accolto positivamente il mio pezzo dal momento che porta con sé un messaggio e racconta una situazione che accomuna gran parte di questi.
I miei prossimi obiettivi stanno nella crescita e nel miglioramento personale nel campo dell’autoproduzione (nello specifico a livello di abilità chitarristica e di conoscenza dei software di produzione musicale) e nella costante creazione di musica originale fatta con dedizione e criterio.
La vittoria alla Beck’s Unacademy. Ci racconti come è andata e come l’hai/avete vissuta?
Quella della Beck’s Unacademy è stata un’esperienza importante poiché ha segnato il momento in cui mi sono confrontato per la prima volta con artisti che hanno fatto della loro passione il proprio lavoro. Avere la possibilità di interfacciarsi con musicisti di alto livello ti dà la possibilità di allargare i tuoi orizzonti e di mettere in gioco te stesso e il modo in cui ti rapporti alla musica. Personalmente l’ho vissuta come una buona occasione per dimostrare quello che sapevo fare e per imparare quello che ancora non riuscivo a padroneggiare con professionalità. Penso che ritrovarsi in un ambiente così eclettico composto da artisti di ogni genere e provenienza sia qualcosa di assolutamente stimolante per la propria crescita creativa dal momento che dà un input fondamentale finalizzato alla propria espressività artistica.
Scrivere. Quali sono i momenti in cui ti dedichi a scrittura e composizione? Come nasce un brano di FunkyPein?
Scrivere mi riesce bene nei rari attimi di pace e di calma interiore che colgo nel corso della mia incasinatissima routine. Diverse volte ho provato a buttare giù un testo dopo un’intera giornata passata in ufficio e mi sono sempre reso conto di non essere riuscito ad esprimere i concetti che avevo in testa nel modo più adeguato o funzionale a come me li ero immaginati prima di rapportarmici. Questo dipende di base da tutto lo stress e il nervoso accumulato nel corso della giornata lavorativa. Sento ogni volta il bisogno di avere la mente libera per organizzare al meglio i miei pensieri ed essere nelle condizioni migliori per esprimere un concetto. Di solito scrivo nel corso delle ore notturne (ahimè, specialmente quando dovrei dormire) e più in particolare nel periodo invernale. Trovo che l’inverno sia il momento più evocativo dell’anno per l’atmosfera che crea e per le sensazioni che suscita nello scrittore che cerca l’ispirazione nell’ambiente che lo circonda.
I miei brani nascono dall’esigenza di raccontare agli altri chi sono e il mio punto di vista in merito a ciò che succede nella mia vita, in particolar modo nei confronti degli eventi che determinano inevitabilmente il mio modo di pensare e il tipo di persona che sto diventando.
Scena italiana. Come ti sembra attualmente? Quali sono le cose più interessanti in circolazione?
Non seguo granché la scena italiana perché ascolto e mi ispiro principalmente a quella americana.
In ogni caso con l’avvento della trap in Italia trovo positiva la presenza di una maggiore musicalità nel flow che ormai si è trasformato in un cantato quasi cantautorale, piacevole all’ascolto. Ammetto di non essere un grande fan dell’autotune che reputo comunque uno strumento stiloso se usato con criterio e se non abusato troppo. Apprezzo molto il fatto che gli artisti della scena attuale siano così uniti tra di loro; è bello vedere una scena più compatta che si supporta reciprocamente e soprattutto beatmaker che utilizzano e sperimentano nuove sonorità a livelli che non hanno nulla da invidiare a quelli a stelle e strisce. Ammiro infine lo spirito d’iniziativa e la costanza con cui gli artisti della nuova scuola sono riusciti a creare un nuovo stile facendo da spartiacque tra il vecchio e il nuovo modo di intendere e di vedere la musica.
La musica nell’era del digitale. Quali sono i fenomeni e i trend più interessanti a livello globale?
Nell’era del digitale come in qualsiasi altra epoca storica ci sono tipi e tipi di musica. Reputo che attualmente i fenomeni più interessanti siano quelli che emergono dagli abissi del web che ai giorni nostri è la “piazza” dove chiunque può ispirarsi, influenzare gli altri e dire la propria. Ne è un esempio la nuova scena rap che si è creata grazie allo spazio concesso da SoundCloud: che piacciano o no, i Mumble Rappers sono diventati il nuovo fenomeno che ha attirato l’attenzione della gente, creando una nuova ondata di hype e di interesse attorno alla musica e al personaggio. Chiaramente ci sono artisti che hanno il loro perché e tanti altri che propendono più per il trash becero e privo di senso. Il lato positivo dell’era digitale sta nel fatto che offre una scelta e una selezione di musica così sconfinata che dà all’ascoltatore la possibilità di farsi un’idea chiara a riguardo dell’arte che ha un valore effettivo e di quella che è invece più spoglia e fine a se stessa.
Perché Soundreef?
Principalmente perché mi considero un fan della trasparenza e dell’affidabilità e penso che questi fattori contraddistinguano senza ombra di dubbio l’operato impeccabile di Soundreef.
Grazie mille Gianluca e in bocca al lupo!