Ha collaborato con i più importanti nomi del Jazz Italiano. E’ uno dei sassofonisti più promettenti in circolazione. Abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche parola con Francesco Schina…
Ciao Francesco, come e quando hai iniziato a fare musica? Quando ti sei avvicinato al Jazz?
Ciao Federico, piacere di incontrarti. Come moltissimi musicisti, ho iniziato a suonare nella banda di paese, poi decisi di intraprendere studi più approfonditi presso il Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze. Sono un amante della musica classica, però inconsciamente sono sempre stato attratto dal jazz e grazie al Maestro Tolmino Marianini sono riuscito a scoprire questo meraviglioso mondo.
First Step”: come sei arrivato a questa tua prima uscita discografica? Cosa ha rappresentato per te?
First Steps è stato un lungo lavoro ed una necessità. Attraverso queste song ho voluto raccontare alcuni anni della mia vita, esperienze, vita quotidiana, sentimenti, delusioni e molto altro, insomma tutto quello che capita a qualsiasi essere umano, ma io l’ho raccontato nell’unico modo che conosco…la musica.
Questo lavoro rappresenta un passo importante, perché presentare ed esporre le proprie composizioni non è mai facile, anche se sei un ottimo musicista respiri sempre quell’incertezza che ci aleggia intorno. Sei consapevole di esporti totalmente e di essere soggetto a critiche, spesso anche di invidia o gelosi, ma queste però devono spronarci a migliorare sempre di più il nostro lavoro. Ripeto, non è stato facile presentarsi come bandleader di un progetto, senza il supporto di nessuno, ad ogni modo ho avuto la fortuna di avere intorno a me dei meravigliosi musicisti ed amici che mi hanno sempre sostenuto e con i quali ho registrato questo album: Andrea Pellegrini (piano), Bernardo Sacconi (contrabbasso/basso) ed uno dei più bravi batteristi jazz del panorama italiano, Piero Borri.
Cosa significa per te Jazz e come sta cambiando in questi anni?
Jazz per me significa vita, è quella cosa che ti stimola a migliorarti, a cambiare, a metterti alla prova, ad esporre la propria intimità, la rabbia, il cambiamento e molto altro ogni volta che ti esibisci. Dentro alla musica jazz c’è tutto, credo sia la forma musicale stilisticamente più completa che uno possa suonare.
Io non mi sento di dire come sta cambiando, quello che comunque mi sento di dire è che spesso sento musicisti senza la giusta pronuncia. I cambiamenti e le evoluzioni fanno parte di qualsiasi movimento artistico, però sono fermamente convinto che sia fondamentale la formazione di base e da li intraprendere un proprio percorso…insomma, forse si sta perdendo lo swing.
Esiste una ricetta per la composizione perfetta? A cosa un compositore non dovrebbe mai rinunciare?
Eh, bella domanda. Penso che una ricetta perfetta non esista. Ogni uno di noi ha una sensibilità differente, quindi un musicista può ritenersi soddisfatto quando la sua composizione gli suscita le emozioni che intendeva stimolare.
Penso che ad un compositore, musicista, ma soprattutto ad un jazzista non debba mai mancare la curiosità. La curiosità non dovrebbe mai mancare in generale, nella vita di tutti noi, penso alla curiosità come il motore che trascina le persone a fare, ascoltare, leggere, informarsi, guardare ecc.
Quali sono i tuoi prossimi passi artisticamente parlando?
Prima di tutto vorrei portare questo progetto più in giro possibile, vorrei suonarlo live ovunque. Allo stesso tempo sto già lavorando al secondo disco che, in qualche modo ricalca le orme del primo. Voglio dire che anche nel secondo album presenterò dei brani che parlano della mia vita, dei viaggi, di persone, contaminazioni stilistiche.
Firenze e Salento: come hanno influito questi luoghi sulla tua formazione e sulla tua crescita come musicista?
Il Salento, ma il sud in generale, è un territorio vivo, dove si respira grande amore per la musica, per il territorio e per le contaminazioni culturali. Nel meridione possiamo trovare musica anche nei dialetti dove troviamo suoni arabi, francesi, spagnoli, greci e perfino americani, visto la presenza massiccia durante la guerra. Firenze invece è una città estremamente chiusa, poco stimolante, ma al tempo stesso culla di una cultura incredibile. Architettura, arte, città dell’opera, qualsiasi cosa uno possa guardare comunque è un’opera d’arte. Firenze è la città che mi ha permesso di conoscere artisti e colleghi meravigliosi come Nico Gori, Piero Borri, Fabio Morgera, Andrea Pellegrini, Riccardo Fassi, Mirko Guerrini, Tolmino Marianini, Stefano “Cocco” Cantini, Simone Graziano e tantissimi altri. Tutti artisti incredibili e di altissimo livello.
Che musica ascolti a casa? Chi sono i tuoi artisti preferiti?
Io ascolto di tutto, come ti dicevo prima sono curioso, quindi ascolto qualsiasi genere e qualsiasi cantante…il problema è che poi non mi piace nessuno.
Sarò banale, ma i miei artisti preferiti credo siano gli stessi di milioni di persone. Nella musica pop, rock, r&b posso farti i nomi di Stevie Wonder, Sting, Elton John, Prince, Michael Jackson, Ray Charles, Whitney Houston, Dionne Warwick, Led Zeppelin, the Beatles, Queen, the Rolling Stones, Pink Floyd ed altri. Nella musica jazz la cosa non cambia. John Coltrane, Charlie Parker, Cannonball Adderley, Joshua Redman, Joe Lovano, Chris Potter, Michel Petrucciani, Mc Coy Tyner, Miles Davis, Chet Baker ed altre centinai di artisti.
Come ti sembra la scena italiana in questo momento storico?
La scena italiana è molto difficile storicamente e lo dicono i fatti. In Italia ci sono bravissimi musicisti, però non siamo un paese propositivo, quindi per emergere o vai all’estero o ci metti una vita. Faccio due nomi su tutti. Stefano di Battista è uno dei più bravi alto sassofonisti credo a livello mondiale, è bravissimo, e quando suona (perdonatemi il termine) c’ha il ca**o duro…ma è diventato quello che è grazie alla Francia. Il secondo il termini cronologici è Max Ionata. Un sassofonista con un gusto meraviglioso, bellissime frasi e musicalità, ma per ottenere quanto adesso gli sta spettando ha dovuto faticare e sgomitare pesantemente. Diciamo che il nostro è un territorio al quale non piace molto la meritocrazia.
Perché Soundreef?
Credo che questa risposta sia legata alla risposta precedente. Soundreef si basa su un sistema ideologico internazionale ed il suo scopo è quello di curare REALMENTE gli interessi dei suoi musicisti…oltre ai suoi. Da quando mi sono iscritto ho sempre avuto ottimi rapporti con i rappresentanti dei vari servizi che Soundreef offre e propone ai propri iscritti, cosa che non credo si possa riscontrare nell’irregolare monopolio di SIAE. Sono convinto che Soundreef acquisirà ancora più forza e finalmente anche in Italia i musicisti avranno una gestione molto più limpida, chiara e regolare di come l’hanno avuta fino a questo momento. Perché non dobbiamo dimenticarci che fare il musicista È UN LAVORO!
Grazie mille Francesco e in bocca al lupo!
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