Abbiamo avuto il piacere di incontrare Francesco Galassi, Direttore di Exitwell, che ci ha raccontato come è nata la rivista e le sue opinioni sulla scena indipendente italiana.
Ciao Francesco, parliamo di ExitWell. Come e quando nasce l’idea?
La follia, mi dirai.
Tutto è nato da una band, in realtà: gli OverWakingLife. Era un progetto progressive rock che avevo creato con degli amici, con quella band registrammo un EP, da soli, in saletta, io suonavo il basso. Solo che una volta stampato la domanda fu: “e adesso che ci facciamo co ‘sto coso?”, non avevamo idea di come funzionasse l’ambiente musicale e la cosa peggiore era che neanche i nostri amici musicisti ne sapevano granché. Ho quindi voluto imparare, non solo per me ma anche per trasmettere le informazioni che apprendevo ad altri. Questo è stato lo spirito che ha lanciato ExitWell: fornire ai musicisti emergenti le basi per poter affrontare il proprio progetto.
Alla base di quell’EP c’era il lavoro mio per quanto riguarda l’organizzazione e il coordinamento (oltre ai testi), di Riccardo De Stefano per i contenuti musicali e di Francesca Radicetta per la parte grafica: la stessa base, con gli stessi compiti ha poi fondato ExitWell, dopo una fase di gestazione abbastanza lunga, e tutt’ora ne è il fulcro.
Farlo cartaceo (e gratuito) è stata l’idea folle, in assoluta controtendenza, ma devo dire che ci ha dato un risalto incredibile da subito. A più di tre anni di distanza dal numero zero ti posso dire che lo rifarei mille volte.
Come si è formata la redazione? Come è organizzata?
Come dicevo prima, l’obiettivo era fornire ai musicisti emergenti delle basi per muoversi nell’ambiente musicale.
Non ci servivano giornalisti, ci servivano professionisti del settore, gente che ci lavora quotidianamente, che si sporca le mani: fonici, speaker, direttori artistici… andai inizialmente a contattare figure del genere e gli affidai rubriche tecniche. Poi andammo alla ricerca di band nuove e giovani da promuovere sulle nostre pagine.
In poco tempo la cosa ci esplose un po’ tra le mani, attirammo l’attenzione di diverse realtà e molte persone ci contattarono per collaborare, musicisti soprattutto, che vedevano in noi un po’ uno spiraglio, forse. Non potevamo pagare nessuno, chiaramente, anzi ci rimettevamo parecchi soldi, ma non interessava a nessuno, semplicemente volevano starci, volevano ci fosse del loro su ExitWell. Così abbiamo potuto ampliare lo staff, un pezzo alla volta, e adesso abbiamo un gruppo nutrito e ben strutturato, che ci permette di gestire in maniera abbastanza lineare l’enorme flusso di lavoro che comporta un progetto del genere. Non te li elenco, ché se mi dimentico qualcuno poi il prossimo numero tocca farmelo da solo.
Punti di distribuzione. Quanto ci è voluto per ampliare la rete? Quanto sta crescendo la diffusione?
All’inizio chiaramente la distribuzione era solo su Roma e ampliarla a livello nazionale non la pensavo una cosa possibile, mi sembrava roba da grande testata, noi non eravamo mica Il Mucchio. In realtà poi l’ampliamento è avvenuto in maniera abbastanza naturale. Ed è stato proprio il nostro non essere una “grande testata” a renderlo possibile. Io dico spesso che non è l’informazione cartacea a essere “superata”, ma superato è sicuramente l’approccio. Noi abbiamo provato un approccio differente rispetto alla “grande informazione musicale”, un po’ chiusa ognuno nel suo mondo, andiamo nei locali, seguiamo i musicisti, parliamo con tutti, collaboriamo con tutti (anche con altre riviste!!). Questa nostra apertura ha creato in maniera del tutto naturale una rete a livello nazionale. Grazie a questa rete abbiamo improntato un metodo tutto nostro per distribuire fuori da Roma, affidandoci a diversi referenti, con esperienza della scena locale. Il primo numero ad uscire da Roma fu Gennaio-Febbraio 2014, che distribuimmo a Milano e Bologna. Meno di un anno dopo eravamo già in dodici città diverse, aumentando conseguentemente la tiratura, ora ci siamo fermati per stabilizzarci un pochino, ma l’obiettivo è ampliare ancora.
Parlavi di approccio…
Sì, la disputa tra cartaceo e web è impari, così sembra. Ma secondo me il problema è che se continui a fare il cartaceo come lo facevi prima della diffusione dell’informazione web hai perso in partenza, non c’è partita. Il flusso delle informazioni sul web è istantaneo, non puoi competere sullo stesso piano. Hai un punto di forza però: sei concreto, tangibile. E allora devi aprirti agli altri, fare rete e collaborare, farti vedere e sentire, avere quel rapporto diretto che il web non può avere. Allo stesso tempo però devi targhettizzarti e dare al tuo target quello che non possono trovare online, in termini di approfondimento e, soprattutto, di filtro.
Poi oggi abbiamo anche tecnologie che ci permettono di integrare carta e web… ma di quello parliamo un’altra volta, tempo di mettere a segno un paio di idee.
Qual’è lo stato di salute della musica in Italia? Quali sono le problematiche e quali le opportunità in questo momento storico? Qual’è la situazione dei live?
Ecco, qua andiamo sul difficile… problematiche tante, troppe, potremmo parlarne per ore. Di base io vedo pochissima curiosità, le persone non hanno interesse a scoprire, si accontentano di quello che ascoltano passivamente dai grandi network, e poi comprano quello (poco). È un problema culturale questo, non c’entra la crisi, e la cultura non si infonde da un giorno all’altro, bisogna lavorare lì dove si forma, nella scuola. È un tema che mi sta particolarmente a cuore, l’ho trattato spesso: c’è bisogno di costruire una coscienza musicale nei ragazzi, intervenendo sulla programmazione scolastica e va fatto adesso per vederne i frutti tra quindici anni. La situazione dei live viene di conseguenza, nessuno va a vedere un concerto di un artista che non conosce, non c’è interesse nello scoprire cose nuove.
Dietro una difficoltà c’è sempre una opportunità, sembra una frase di un film Disney ma è così. Tanto più in quest’epoca, nella quale viviamo situazioni incancrenite, le opportunità ce l’ha chi ha idee fuori dagli schemi… e, insomma, voi ne sapete qualcosa…
Come ti sembra attualmente la scena indipendente in Italia? Quali sono proposte più interessanti in cui ti sei imbattuto ultimamente?
C’è tanta roba, forse troppa, nel senso che quando c’è molta proposta la qualità tende a livellarsi verso il basso, e coprire alcune cose buone che spesso non riescono ad emergere. Roma poi esplode di artisti di qualità, potrei farti un elenco lunghissimo. Un progetto che sta facendo un buon percorso è WrongOnYou, mi ricordo che li vidi insieme a Riccardo al loro secondo concerto con quel nome. Eravamo andati per un’altra band, entrammo nel locale, un posto piccolissimo a San Lorenzo, e stavano suonando. Fummo rapiti completamente, quando finirono applaudimmo e loro ci guardarono come fossimo due idioti, al ché ci rendemmo conto che era solo i check. Era talmente una ficata che ci sembrava già il concerto, fummo i primi a scrivere di loro, ce ne vantiamo spesso, ma fu un caso.
Per me poi la differenza la fa l’approccio live, prendi Iosonouncane: DIE è un disco pazzesco, il migliore del 2015 secondo me. Però poi live come lo fai? E infatti lo porta in giro acustico e non rende assolutamente.
Se prendi invece i Fast Animals and Slow Kids, che io adoro, Alaska è un bel disco ma non sconvolgente, live però sono un’esperienza da provare, avrò visto tre o quattro date del tour di Alaska e non mi sono mai annoiato.
Poi vabbè c’è Truppi. Madonna Truppi… l’ultimo disco sta sempre accanto al mio stereo, a portata di mano. Lui e i Suntiago. E poi basta sennò la gente si annoia a leggere i miei gusti musicali e si cancella da Soundreef.
Grazie mille per il tempo Francesco!