Dopo una lunga militanza nei Ministri, Effe Punto sta per pubblicare un nuovo album. S’intitola “COCCODRILLI” e uscirà il 30 novembre per Labellascheggia. Accreditati nel disco Federico Dragogna (Ministri) e Andrea Sologni (Gazebo Penguins).
Ciao Filippo, come e quando nasce Effe Punto?
Nasce come uno sfottò tra amici dopo il liceo, perchè in modo piuttosto plateale firmavo ogni mia demo con f.cecconi, e quel punto dopo la f ha fatto il resto, l’autore è morto ed è nato il personaggio che in molti casi coincide con l’autore vero e proprio ma non sempre. Questo nascondiglio poi, lo si vede bene oggi, è diventato rifugio di molti, basti pensare a Dente, Colapesce, Le Luci della Centrale Elettrica etc. tutti moniker che appartengono ad una persona precisa che però non usa il proprio nome e cognome. Solo in banca, all’anagrafe e in ospedale. Sarà per quello…
“Il povero diavolo” è il singolo appena uscito che anticipa il tuo primo album solista. Come lo hai scelto?
Ci sembrava il più rappresentativo di una scaletta piuttosto ampia (16 canzoni) sia perchè piuttosto ritmato e dritto, sia perchè affronta un tema centrale di Coccodrilli. Parla di un povero diavolo che è allo stesso tempo un malcapitato, un poveraccio diremmo, colpito dalla sfortuna e protagonista involontario della storia, ma è anche un poveretto, un miserabile, un pusillanime che sfrutta la sua sfortuna per fare del male, usandola come alibi e scusa.
Come scriveva un mio amico se la strategia dei falchi è chiara, spesso sottovalutiamo il machiavellismo delle colombe, non sempre simboli di pace.
Il 30 novembre esce invece l’album: ci puoi dare qualche anticipazione? Come è stato scritto, registrato? C’è qualche aneddoto che ti andrebbe di raccontarci?
Senza volerlo abbiamo iniziato a registrarlo durante il ponte dei morti del 2015, banalmente perchè era appunto vacanza, nessuno lavorava e avevamo una settimana piena da dedicarci. La liturgia, le festività, il calendario ormai sono dei vuoti e pieni di giorni feriali e singhiozzi di feste, ponti, ferie obbligate. Là dove la vita ha perso ogni sacralità in favore quasi e solo di eventi economici privati e pubblici, con questo album rivendico la necessità della celebrazione, non per forza storica o di una liturgia ufficiale e riconosciuta, della propria vita intima che ha inevitabilmente delle connessioni con la comunità più o meno ampia con cui entra in contatto. La morte nonostante tutto rimane un tabù, tendendo a vivere sempre più affermativamente e solo in presenza, mai in assenza, Coccodrilli è questo spazio dove esistere, è una riflessione sulla morte (vera o apparente) e quindi un grande omaggio alla vita. E averlo registrato durante los dias de los muertos è stata una simpatica coincidenza.
Quanto hanno influito le tue esperienze con i Ministri e con Dente nella scrittura dell’album?
Da i Ministri spero di aver ereditato l’attitudine, se prima, a ragione, molti miei amici e fan mi avevano affibbiato l’epiteto di cantautore pacco-intimista, relegandomi alla stanzetta, con questo lavoro, costruito insieme ad altri musicisti, tra cui il preziosissimo Gianluca Gambini (storico batterista di Dente), esco dalla stanzetta e faccio un po’ di rumore. A Dente invidio da sempre la capacità di giocare con la lingua e le parole, di volare leggero senza cadere pesantemente al suolo. Io ho sempre il dubbio di muovermi come un elefante in una cristalleria, e allora provo a pensare cosa farebbe Dente in quella circostanza. Anche se abbiamo uno stile, un registro e un mondo musicale e sonoro molto diverso e nostro.
Come ti appare oggi la scena italiana? Quali sono le caratteristiche di quest’epoca?
È una fase nuova e può succedere di tutto, si sono estinti i dinosauri ma rischiano di prendere il sopravvento dinamiche di pancia spaventose. La musica è un sintomo e una possibile cura insieme. È il momento di esserci e rivendicare idee, stili e intenzioni, e mi sembra che in molti ci stiano riuscendo bene, rimanendo fedeli al proprio percorso. Penso ad autori e artisti come Lucio Corsi, Andrea Laszlo De Simone, Giorgio Poi ad esempio che stanno raccogliendo molto pur avendo una personalità lontana dall’adagio discografico “quello che la gente vuole sentire”.
Perchè Soundreef?
Perchè è uno strumento nuovo, anche solo grazie alla sua presenza un dinosauro come la Siae ha capito che per non scomparire del tutto doveva cominciare a tener fede al proprio statuto. Perchè non è una macchina pensata per sostentare la burocrazia. Perchè non è rappresentata da ispettori (e mi fa orrore che la proprietà intellettuale sul territorio venga “difesa” e tutelata da figure molto simili ad agenti di polizia), perchè è chiara e semplice senza essere coercitiva per chi vuole usufruirne. Perchè ce n’era bisogno.