Dj Gengis ci racconta com’è passato dal “fare il luciaro” a calcare grandi palchi e fare sold out anche all’estero. Noi abbiamo avuto il piacere di parlare con lui subito dopo l’uscita dell’ultimo pezzo di Alex Britti di cui ha curato la produzione insieme a Salmo.
Come inizia il percorso di Gengis Khan in musica e quando ti sei avvicinato alla cultura Hip Hop?
Difficile dirlo… Probabilmente è stata una serata che mi ha fatto che scegliere la mia passione come professione: un concerto, un DJ set di Tony Touch all’ex Circolo degli Artisti. Quello è l’evento che mi ha un po’ illuminato la strada per quanto riguarda la carriera da DJ.
Eri già vicino alla musica prima di quella serata in qualche modo o è stata una novità?
Sì, seguivo già il rap: quelle poche cose che arrivavano all’epoca, Wu-Tang Clan e poco altro.
Quando ho iniziato ad approcciarmi a un mondo e un genere che non fosse il Rock dei Pink Floyd che veniva dal retaggio di mio fratello, mio padre, mio zio, poi ho iniziato a fare la mia ricerca musicale. Ho avuto la fortuna di avere un amico in Svizzera e lì già negli anni ‘90, inizi 2000, arrivava un sacco di materiale rap. Facevano un sacco di concerti quindi c’erano un sacco di dischi fuori anche rari, gruppi un po’ più ricercati, cose che poi sono diventate anche più di dominio pubblico. Lui mi portava questi cd. Eravamo un gruppetto di amici che ascoltava ‘sta musica, tra cui uno è Er Costa.
Così dal cazzeggio iniziale piano piano, prima con le feste, anche le feste di 18 anni per alzare i primi soldi, poi la frequentazione degli stessi locali con Noyz, coi Colle der Fomento e con altri esponenti della scena musicale rap romana e le cose sono venute fuori naturalmente.
Un altro mio grande mentore era DJ Stile, che cito in tutte le interviste, che per il lato dj mi ha insegnato tanto e poi mi sono addentrato nel mondo del rap, ma questo mentre facevo anche i concorsi da DJ e tutta quella roba lì. E ho iniziato a calcare i primi palchi, diciamo quelli più rilevanti, con Noyz Narcos.
C’è stata qualche esperienza con Noyz o altri che è rimasta veramente dentro, tra le tante avute in questi anni? Qualche situazione che ti è rimasta davvero impressa?
Difficilissimo sceglierne una, perché c’erano degli anni in cui suonavamo davvero tanto, facevamo 40-50-60 date l’anno, stavi quasi sempre in giro.
Quindi è difficile scegliere, però nel complesso è sempre stata una figata. Poi ci sono dei posti dove noi siamo veterani, diciamo, e dove ti fa più piacere andare o sai che ci stanno i fan.
A coronare le tantissime esperienze fichissime in Italia ci sono state sicuramente anche quelle internazionali. Come quando vedi sold out a Londra o non so ad Amsterdam. La prima volta Londra piena di gente impazzita, saranno state 500-600 persone, non so quanto tenesse quel locale ma fare un sold out a Brixton è stata una figata.
Quando ero pischello ho fatto il luciaro, cioè montavo le luci per eventi grossi, non so Tiziano Ferro, Gigi D’Alessio, Festival, e poi su quegli stessi palchi e se non più grandi ci ho suonato.
Invece adesso un nuovo beat con Salmo per Alex Britti, per un brano che si intitola ‘Brittish’. Che tipo di beat è rispetto alla tua produzione? Sei soddisfatto del brano e che tipo di brano è uscito fuori?
Il pezzo secondo me è una bomba ovviamente: è nato quasi per gioco.
Stavamo cazzeggiando, relativamente cazzeggiando, stavamo registrando delle session di chitarra da Salmo, stavamo lavorando su delle basi che ci stava facendo sentire e niente, tra una sessione l’altra è uscita questa cosa “brittish, quanto cazzo sono brittish”. Sai poi quando devi salvare il progetto e non sai come chiamarlo, e allora come lo chiamiamo, chitarra e Britti, Brittish! Giocando dopo la session di studio iniziamo a buttare giù il pezzo ed è uscito, cioè era fatto già la sera stessa.
Sia il testo che la produzione sono usciti sul momento, nel giro di 3 ore, ma non vorrei che questo sembrasse sminuire il pezzo, spesso le hit nascono così.
Apri un tema che mi interessa molto: tu di solito come componi? C’è un iter standard? Parti da un campionamento, da un suono, ti dai obiettivi, tempistiche, idee? Come funziona per te?
Ho una sorta di template sul mio multitraccia con una serie di batterie, una serie di cassa rullante, percussioni etc.
Quindi ti sei un po’ fatto una tua libreria?
Una sorta di mini libreria, poi ovviamente mi appoggio anche ad altre librerie, anche a pagamento, però il mio standard, la mia base di partenza è un progetto in cui su 7 tracce e ho ad esempio, 1 traccia con un pianoforte, 1 traccia con un synth, 1 traccia con degli archi. Copro tutti i range di frequenza che mi possono interessare. Ho sempre a portata di mano una serie di cose pratiche, e per tutto quello che riguarda le melodie che non suono, quindi campionamenti e quant’altro, cerco di utilizzare solo quelli licenziati dalle varie librerie di suoni.
Ultimamente mi sto facendo aiutare dal bassista Matteo Pezzolet con cui ho fatto un paio di produzioni. Ecco, lì dove mi fa sentire un basso o una chitarra, a parte il lavoro con Alex Britti con cui ci aiutiamo a vicenda, diciamo si aggiunge quella parte vera alla musica quando c’è un elemento suonato.
Ad esempio in Brittish quando ha suonato la chitarra elettrica si sente, gli dà vita, un po’ lo toglie da quell’ambito strettamente digitale, anche se è vero che vengono delle figate assurde anche lavorando solo in digitale, ma se c’è uno strumento vero è anche un valore aggiunto che comunque viene arrangiato bene.
Per il resto dove trovo un campione figo che gira gli costruisco la batteria e la melodia intorno però tante volte non c’è uno standard, ad esempio in uno degli ultimi beat che ho fatto ci sono un sacco di sonorità brasiliane con le percussioni super shuffolate che sembra che stanno in dietro ma in realtà stanno in tempissimo. In quel caso sono partito ad esempio dalla ritmica, in altri parto dalla melodia o da un giro di accordi.
Altro esempio pratico, con Matteo stavamo facendo tutta roba in Mi minore quindi tutte cose fichissime ma un po’ malinconiche, siamo poi partiti da un D major, quindi magari uno cerca dei giri di accordi in quella chiave e sviluppa la traccia.
Stavo provando a fare una produzione per Alex prima di parlare con te, e stavo chiedendo a lui come partisse visto che lui ne ha centrate di hit. Ci sono dei fattori che portano a fare una hit, e spero che questo potenziale ci sia in quella che stiamo facendo uscire. Lui ad esempio già si fotografa una canzone in testa e poi pensa attorno alla produzione, ha in testa la melodia e poi intorno ci fa la produzione.
Io non seguo questo standard alla lettera.
10 anni fa, pure 15, la cultura hip hop era una sottocultura, mentre adesso guardando le classifiche in giro per il mondo, anzi negli Stati Uniti già da 10 anni ma ormai anche in Italia, ti rendi conto che il rap non manca mai in top ten. Come è successo? Come te lo spieghi?
Da DJ si guarda sempre un po’ quello che succede all’estero, per vedere non i trend intesi come i trend di classifica, che poi contano anche quelli, ma i trend musicali.
In america già da decenni c’erano molti artisti rap R&B, c’era gente che faceva numeri importanti, mentre qui in Italia ancora venivano considerati dei coglioni.
Secondo è stato solo un discorso di tempo.
Non è un genere che va a scalzare l’altro, che nella fattispecie italiana poteva essere ad esempio la musica leggera, è semplicemente un pezzetto di quella torta che poi vuoi o non vuoi è sempre andata aumentando o comunque ha cambiato confezione, è shiftata dalla vendita fisica a quella digitale e poi Youtube etc, non so se è giusta l’analogia con il cibo, è una parte di mercato che era quasi naturale che si andasse a sviluppare perché noi culturalmente siamo sempre stati molto influenzati dall’America, Inghilterra e da tutta quella che è la cultura anglosassone.
Cosa consiglieresti ad un giovane beatmaker che inizia oggi il suo percorso in musica?
Oddio, non mi sento di dare consigli, non voglio fare il discorso da vecchio.
Diciamo che qualche anno fa accedere ad uno studio di registrazione, comporre delle basi, campionatori, macchinari, era tutto un po’ meno accessibile o meglio l’accesso era molto più costoso. Adesso hai un computer, la connessione internet, due parole in inglese e ti fanno pure i tutorial, è tutto abbastanza a portata di mano e non serve neanche essere troppo nerd.
A livello di approccio, quale pensi che sia la cosa importante da consigliare? Esiste un approccio giusto?
Ma guarda, oggi ho visto un video figo che parlava di un produttore che diceva che uno magari è talmente concentrato a marketizzare la musica, a spingere la propria musica, che si getta un’ombra su quello che dovrebbe essere l’intento primario: divertirsi.
Lui faceva un paragone tra un hobby figo che non necessariamente è cheap, ad esempio gli americani che spendono un sacco di soldi nella pesca perché prendono seriamente il loro hobby. Ovviamente nella produzione musicale più si è preparati meglio è, quello che dico è che tante volte c’è troppa scelta. Io adesso ti faccio un esempio mio, per quando riguarda i video, quando ho iniziato c’erano 3 VHS sfigati che dovevi sbatterti per trovarli, erano di scarsa reperibilità, mentre adesso trovi i materiali di qualsiasi cosa online, qualsiasi tutorial in qualsiasi lingua. Quindi basta un po’ di forza di volontà ed ovviamente un po’ di culo per imboccare la produzione giusta o il featuring giusto, del resto ci sono tutti quei fattori che stanno al di là del talento e della bravura.
Il consiglio è buttatevi e non abbiate paura delle rejection, dei rifiuti, può succedere ma se veramente ci credete: spingete forte!