Abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche parola su musica dal vivo ed Industria Musicale in generale in Italia con Daniele C di Creative Culture, direttore artistico del CAP10100 di Torino e del _resetfestival.
Ciao Daniele, come ti sembra oggi la situazione per quel che riguarda la musica dal vivo in Italia? Quali sono le problematiche ed i nodi che andrebbero sciolti?
Beh.. Di questo si potrebbe parlare per molto più del tempo che abbiamo a disposizione. L’esibizione dal vivo oggi in Italia è il fulcro di tutto per la musica, il “mondo” Social e digital contribuiscono alla diffusione della musica, ma il live rimane un unico momento irripetibile di contatto tra il pubblico e l’artista che, per altro, rimane uno dei principali introiti economici per le band.
Prima di tirare in causa i problemi mi piace sempre provare ad identificare i dati positivi e, dal mio punto di vista, i dati positivi ci sono: lo spettacolo dal vivo è sempre più richiesto e in molte città non mancano nemmeno gli spazi attrezzati per l’esibizione.
Certo è che in altri contesti invece c’è scarsezza di spazi, ma la domanda da parte del pubblico è in crescita e questo è molto importante come dato da tenere in considerazione per chi lavora nel settore. No domanda, no mercato..
Quindi se il detto Vox Popoli Vox Dei non fosse solo retaggio del Liceo Classico, ma una strategia culturale, in questo momento dovrebbe essere facilitato il settore e quindi concessa maggior libertà agli spazi, quelli che si occupano di spettacolo dal vivo e non di puro intrattenimento, semplificate ed automatizzate le normative in materia di pubblica sicurezza e pubblico spettacolo, riorganizzato il sistema previdenziale e l’inquadramento giuridico per i musicisti, senza tralasciare la ricerca e l’innovazione doverosa e urgente in materia di diritto d’autore.
Cosa prevedi possa cambiare nel prossimo futuro?
Mi auguro vivamente che tutto ciò che ho inserito nell’elenco delle esigenze basilari per lo spettacolo dal vivo o almeno parte di esso si sviluppi in un prossimo futuro. Di sicuro entro Aprile 2016 molte cose dovranno cambiare in virtù della direttiva Europea cosìdetta Barnier, che dopo anni ormai, è diventata simbolo di un cambiamento che siamo ansiosi di vedere in cosa consisterà.
Di sicuro mi auguro che si muovano interessi ed investimenti sulla cultura perché, come settore in crescita e centrale del nostro paese, va sostenuto con dinamismo e lungimiranza proprio verso quell’aria di cambiamento che per noi Italiani rimane sempre un po’ un miraggio.
Torino ha la fama di essere una città molto viva culturalmente. Che cosa ha o ha avuto in più rispetto ad altre città? E’ una questione culturale, di finanziamenti o di che altro?
Ahahahah… non si può dire di certo che sia merito di finanziamenti.
Alcune scelte politiche hanno contribuito a portare la cultura un po’ più al centro negli ultimi anni, dalle Olimpiadi in poi, ma di certo è merito in primis della società stessa.
Torino ha sempre mostrato negli anni di essere culla per l’emersione culturale e creativa dal basso, non solo in ambito musicale, al netto delle barriere e difficoltà del contesto. E’ probabilmente una caratteristica che deriva dalla contaminazione, in un luogo multiculturale (siamo quasi alla terza generazione) dove vivono persone diverse con le storie e provenienze più disparate è possibile elaborare idee e cercare soluzioni ai bisogni e a necessità concrete. Torino è una città che ha sempre avuto qualcosa da dire, a maggior ragione nella sua emersione post-industriale, quindi si è dovuta reinventare.. insomma.. un melting pot mai immobile, quasi mai in silenzio… a volte soffocato.
Parliamo del _resetfestival, il festival che hai fondato che ha come mission quella di portare alla ribalta i più interessanti artisti emergenti in Italia. Che tipo di impressioni ti lascia questo festival ogni anno? Che idea ti sei fatto delle nuove proposte musicale e delle potenzialità ancora inespresse delle nuove generazioni?
Il _resetfestival nasce per caso dall’incontro di musicisti e di operatori del settore per rispondere ad esigenze reali e retaggi che, ormai quasi 8 anni fa, schiacciavano una generazione di musicisti dando alla musica un’accezione di “esclusività”. Da qui il pensiero di un circuito per la musica “inclusiva” fatta di scambio e networking finalizzato a fornire uno spazio sempre più ampio a chi produce in ambito musicale con la volontà di farne un percorso di valorizzazione che porti il pubblico e gli addetti ai lavori a diventare sempre più curiosi e attenti alla nuova musica.
Tutto questo ovviamente non trascende il talento o la qualità, per i quali non ci sono strategie o tattiche, ma per fare della musica un mestiere (cosa non obbligatoria ci tengo a specificare) sono necessari strumenti tecnici oltre che creativi, come in ogni professione per altro. Da qui l’esigenza di dotare il festival anche di una parte formativa che negli anni è cresciuta fino a raddoppiare il contenuto di _reset e a farlo diventare un piccolo esperimento di incubazione culturale.
La percezione è che il settore sia in crescita a livello quantitativo e qualitativo, ma è fondamentale guardare oltre il contesto italiano (culturale, geografico, economico) per non ripiegarci su noi stessi e renderci conto di qual è il meccanismo più ampio e quali le reali possibilità. Mi auguro che si abbandoni la convinzione di essere perennemente in difetto o retrogradi, gli italiani sono tra i maggiori talenti creativi al mondo.. dovremmo essere capaci ad abbandonare qualcosa ogni tanto.
Curi anche la direzione artistica del CAP10100, una location più importante dove hai a che fare con realtà più navigate ed affermate. Quali sono le principali differenze tra il lavorare con loro e lavorare con artisti emergenti? Cosa credi che i musicisti e le band che iniziano a suonare dal vivo debbano capire per riuscire a raggiungere i propri obiettivi?
Al Cap10100 passano mega artisti navigati, ma anche super giovani. Questo sempre nella logica inclusiva di cui prima, sia nella direzione artistica che nella produzione. Siamo una bella squadra, in rete, che lavora con passione per altro non solo su spettacoli musicali, ma anche di performance, teatro ecc.. con Associazione Teatrale Orfeo e The Goodness Factory.
Le principali differenze sono nel tempo che impiegano a fare il soundcheck, nel numero di persone al seguito, nei rider (a volte c’è da ridere), nell’entità del cachet, nel numero di persone in sala durante lo show…
Dopodichè dietro e sopra il palco per quanto ci riguarda sono tutti uguali, abbiamo piacere di trattare benissimo tutti e con lo stesso valore. Non mancherà mai la birretta o lo snack in camerino, il sorriso, la chiacchierata e l’abbraccio.. che tu sia Jack White o l’ultimo dei cantautori.
Io credo fermamente che i musicisti e le band che iniziano, hanno iniziato, continuano e continueranno a suonare dal vivo debbano sinceramente fare di questo un mantra. Al di là del cachet, del logo sul disco, della firma sul contratto o dal numero di copie vendute è necessario rimanere uomini, padroni di sè stessi e del proprio percorso artistico, con i piedi per terra e le orecchie aperte, come fosse la prima volta.
Grazie mille Daniele!