Marc Reynaud, francese ma romano di adozione, gestisce il 28Divino, uno dei locali più attivi nella Capitale per quel che concerne la scena jazz. Oltre al club, Marc è anche talent scout e produttore ed ha fondato un’etichetta discografica.
Ciao Marc, raccontaci un po’ di te. Che tipo di eventi organizzi? Dove? Con che frequenza?
Ciao, mi chiamo Marc Reynaud e con la mia compagna Natachà Daunizeau ci occupiamo del 28Divino Jazz, un piccolo jazz club a Roma. Veniamo tutti e due da un “mondo” artistico: io creo dei robot che interagiscono con il pubblico, faccio mostre e per anni ho realizzato un programma tv per bambini, ormai chiuso.
Natachà invece lei è una vera artista. Attrice di teatro, regista, doppiatrice e viaggiatrice!
Organizziamo 99% di concerti di Jazz a 360 gradi. Il resto sono altre proposte artistiche anche di nostra produzione, come “Frammento”, scena musicale per voce interprete, mostre fotografia, reading o presentazioni di libri. Siamo un vero jazz club, cioè aperto solo se c’è musica dal vivo. Non facciamo la colazione la mattina e nemmeno il pranzo. I nostri live sono sempre di musica originale, con una forte vena di improvvisazione e contaminazione. In media facciamo 4 concerti settimanali e siamo alla nostra settima stagione. Devo dire che il nostro piccolo jazz club (45 posti) è diventato un punto di riferimento per la qualità delle proposte e si è visto attribuire riconoscimenti in questo ambito. Oltre a “gestire” il jazz club siamo anche un po’ talent scout, produttori ed etichetta discografica indipendente (28Records – con MC3 Marco Colonna trio registrato live al “28”- sotto licenza Soundreef)
Per chi non conoscesse quest’ambito, come funziona l’organizzazione di un concerto di musica dal vivo? E’ cambiato qualcosa in questi ultimi anni? Se si, cosa?
Tutto dipende da te stesso, dalle tue scelte. Ne devi essere convinto e avere passione, tanta passione… Propongo una musica che mi sta a cuore, che mi piace o in ogni modo che abbia una forte creatività. Non propongo gruppi per riempire il club, ma offro al pubblico nuove scoperte, nuovi viaggi. Devo dire che fare un sold out con una situazione di improvvisazione (fatta bene ovviamente) è per noi una grande vittoria… ma ci sono volute alcune stagioni.
In questi anni credo sia cambiato l’approccio nell’andare ad ascoltare un concerto dal vivo. Manca la curiosità e specialmente tra musicisti stessi. Il pubblico lo devi educare all’ascolto e rispettare chi suona. Oggi devo dire che 75-80 % del pubblico è gente “nuova”, che non conosce la situazione sul palco… ne esce con le stelline negli occhi per il più grande piacere di chi ha suonato.
Come vi mettete in contatto con gli artisti che volete far suonare? Passate attraverso agenzie di booking o siete soliti mettervi in contatto direttamente con gli artisti stessi?
Sono alcuni anni che mi occupo di direzione artistica. All’inizio ascoltavo tutti i demo proposti per farmi una idea. E alcune sorprese le ho avute! Penso al chitarrista Francesco Diodati, quando si presentò con il demo del suo progetto Neko nel 2007. Oggi gira il mondo sia con il suo gruppo che con il quartetto di Rava e altro… oppure gli inizi del Enrico Zanisi Trio, il M.A:T Marcello Allulli Trio, etc… Evito le agenzie di booking, semplicemente per una questione di costi (pensano che il nostro jazz club, vista la “fama” che si è fatto, sia capace di dare dei cachet che per noi sono stellari). Oppure capita che un’agenzia ti contatti proponendoti un gruppo che già conosci da anni e a cui, praticamente, hai dato il palco per la prima volta… No, in generale sono gli artisti stessi che ti contattano (mediamente sono 30 proposte al giorno… (!) ) Alla fine ti ‘innamori’ di alcuni, come Marco Colonna, Danielle Di Majo, Francesco Diodati, Carmine Ioanna, Bearzatti, Pasquale Innarella… e tanti altri, sia come musicisti ma, sopratutto, come persone . Ovviamente hai i tuoi ‘preferiti’ e in generale sono tutti del territorio e il tuo ruolo è dargli massima visibilità.
Cosa significa curare la direzione artistica di una venue? Che tipo di rapporto c’è con il pubblico abituale?
Curare la direzione artistica? Ma… ancora una volta, in primis, ti deve piacere! Abbiamo imposto il jazz club come una scelta culturale, una proposta forse fuori dagli schemi ma che ci sta a cuore. Mettere in programmazione un gruppo “sconosciuto” ma che tu sai essere di grandi qualità significa doversi occupare dell’ufficio stampa, della locandina, della mailing list, della pubblicità dell’evento. Per questo i Social Network ci aiutano parecchio e le nostre pagine Facebook contano parecchi fan. Faccio tutto io e non chiedo mai quante persone potrebbero portare… Credo sia indecente. Anche se abbiamo a disposizione un piccolo budget (che va sempre in funzione dell’esito della serata) qui c’è rispetto sia nell’accoglienza che nell’ascolto. Cover? Odio le cover band.
Quali sono i costi che un organizzatore deve sostenere per una serata di musica dal vivo oggi in Italia? Quanto può influire una licenza nel bilancio della serata?
Per noi i costi sono quelli dell’apertura, del personale, delle spese fisse (affitto, licenze, haccp, inps, ect…) oltre al cachet che diamo agli artisti ed ai costi delle licenze. Attualmente una licenza SIAE ti costa uguale se hai 3 persone o 45. E questo non va. E’ così anche per il teatro… Spero che cambieranno le cose, che il ministro Franceschini possa ‘salvaguardare’ piccoli club culturali che producono nuove realtà, che sono alla fine il tessuto culturale di una città come Roma. E siamo in tanti!
Che tipo di esperienze avete avuto in passato con le licenze?
Il primo problema con le licenze SIAE è andare in mandataria a chiedere i permessi. Ti devi alzare prestissimo perchè sono aperti dalle 9.30 alle 12.30 credo… e l’ultimo venerdì del mese chiudono alle 11.30! Aspetti mediamente 1 ora, 1 ora e mezzo… Assurdo, peggio che in Comune dove almeno hai due giorni a settimana che sono aperti di pomeriggio. Poi devi compilare moduli in tre copie, per ogni live (visto che chiediamo un piccolo ingresso per i musicisti!). Vai in tabaccheria a chiedere della carta carbone e ti guardano come un extraterrestre… E poi i controlli. Tu hai tutti i premessi, lo sanno, ma ti controllano… ovviamente sempre in mezzo alla serata dove sei occupatissimo (faccio anche il cuoco.. 🙂
Avete avuto modo in quest’ultimo anno di fare una licenza Soundreef, alternativa a Siae? Se si, come vi siete trovati? Quali sono gli aspetti maggiorente innovativi secondo voi?
Ho conosciuto Soundreef a fine stagione 2013/2014. Un miracolo! Ho portato avanti una tavola rotonda durante l’estate 2014, a Roma per (R) Esistenza Jazz per presentare Soundreef. Credo che siamo stati i primi a fare un concerto”Jazz” con licenza Soundreef con il chitarrista Stefano Carbonelli che ho convinto di venire da voi. Per quell’occasione è venuto uno dei fondatori, Davide D’Atri, a presentare Soundreef. Forse sarà per questo che la SIAE ci ama così tanto… 🙂
Da quel giorno, altri musicisti jazz, e di un certo calibro, si sono iscritti a Soundreef .
Aspetti innovativi? Ma è tutta una altra storia. In primis è l’artista che dichiara il suo concerto. Tu ricevi la mail della Soundreef, convalidi e firmi digitalmente il permesso, te lo stampi e te lo porti al club. Fatto! Dopo di che lo paghi, tranquillamente da casa tua con una semplice Paypal. Il vantaggio per noi è una riduzione di costi sia di benzina che di permesso – Costa di meno che una licenza SIAE e quello che arriva al musicista, non so se è di più ma di certo non di meno. Almeno gli arrivano i diritti. E’ tutto più chiaro. Prova a chiedere alla SIAE se il bordereau n° xxxx è stato pagato all’artista… Hai presente il film “Brasil” del 1985 diretto da Terry Gilliam?
A proposito, Febbraio 2016 sarà dedicato praticamente ad una programmazione “no siae”. Soundreef avrà largo spazio, ma ci saranno anche artisti sotto Creative Commons e altri non iscritti, ovviamente solo musica Originale! Fate un salto 😉