Davide Combusti, in arte The Niro, ha debuttato a meno di 30 anni con la Universal. Ha un EP e 4 album all’attivo. Ha suonato un po’ ovunque nel mondo. È stato al Festival di Sanremo, ha aperto un concerto dei Deep Purple. Ha scritto canzoni prima in inglese e poi in italiano. A breve uscirà il suo ultimo album.
Tutto è iniziato con una batteria montata in una cameretta, ancor prima che lui fosse nato.
Ci racconti la storia di quella batteria?
Certo, ma per farlo devo raccontare la storia di mio padre.
Bene, partiamo da lì allora.
Mio padre non ha mai amato la scuola. Un giorno mia nonna, disperata, andò da lui e gli disse: “Giordano, che cosa ti garba fare?!” E lui rispose: “Mamma, mi garba la batteria!”. Il giorno dopo la nonna andò a comprargliene una e lui iniziò a suonarla a casa, aveva 14 anni. I ragazzi del cortile lo notarono. E fu lì che nacquero “I centauri”. L’anno dopo suonavano già al Piper. Un’estate stavano per fare il grande salto: erano a Lione, nella villa di un produttore, che era anche il proprietario della BIC, l’azienda delle penne e degli accendini. L’idea era quella di fare un album e partire per un tour europeo.
E invece?
E invece il cantante decise di tornare a Roma, dalla sua fidanzata. E il produttore allontanò tutta la band. Fine. Mio padre tornò a casa con la sua Citroën 2 Cavalli, che fuse il motore in piazza dei Mirti, a Centocelle. Il giorno dopo entrò in un negozio di musica e vendette la batteria; aveva 23 anni e smise di suonare. Poi, qualche anno dopo, ne comprò un’altra. La montò nella mia cameretta quando ancora non era nato. Forse fu il suo modo, introverso, di dire a me di provarci. Quella batteria è quella che uso ancora oggi.
E dopo la batteria fu il turno della chitarra.
Sì: la prima me la regalò un amico. Era in uno stato pietoso, le corde, probabilmente, avevano una dozzina d’anni di vita. Ma mi misi subito a strimpellarla. Sfogavo la parte selvatica con la batteria, e la parte malinconica, riflessiva con la chitarra.
Mancano voce e basso e hai fatto una formazione completa…
…infatti sono arrivati anche quelli (ride). Il basso lo lasciò un amico a casa mia, si stava trasferendo. Il microfono arrivò tramite mia madre, che si comprò uno di quei corsi d’inglese che vendevano in edicola. Col primo numero c’era un microfonino a pipetta in omaggio. Mi sono scaricato Sound Forge con la mia connessione 56k e in una settimana ho registrato su cassetta 7 brani.
Poi tutto ha subito un’accelerazione travolgente.
Sì, poco dopo essere diventato The Niro mi trovai a suonare a Tucson, Arizona. Poi a Parigi. Durante un concerto a Londra – suonavo in apertura a Carmen Consoli – mi avvicinò un emissario della Universal. E poche settimane dopo ero nel loro catalogo internazionale. A pensarci adesso sembra una di quelle storie da raccontare ai nipoti.
È stato più strano suonare prima dei Deep Purple o al Festival di Sanremo?
Non c’è dubbio: prima dei Deep Purple. Ricordo ancora la data: 1 marzo 2006. Sono stato accolto da una selva di fischi appena sono salito sul palco. Mi ha salvato l’incoscienza: mi sono avvicinato al microfono, e la prima cosa che mi è venuta in mente di dire è stata: “Ah, non mi avete riconosciuto!”. Subito dopo ho pensato: “Che cazzo ho detto? Mo’ mi ammazzano!”. Invece è andata bene; ho preso anche qualche applauso alla fine dei brani. Sceso dal palco vennero i Deep Purple da me a dirmi: “Oh, tu sei un eroe! Il 90 per cento della gente che apre i nostri concerti dura due brani!”. E mi indicarono il loro capo-palco: aveva una cicatrice che partiva dall’occhio e arrivava fino al lato sinistro della bocca. Era il batterista di una band che apriva i loro concerti. Una sera gli hanno tirato una bottiglia. Loro si sono sentiti responsabili e l’hanno preso a lavorare per loro. “Grazie di avermi informato alla fine!” gli ho detto io.
Come autore, quale diritto vorresti avere?
Il diritto di non dover contrattare con chi vuole sfruttare la mia musica gratis, ad esempio. Il diritto che sia qualcuno altro – di più ferrato – a occuparsi di quella parte del lavoro al posto mio.