I B.M.C. sono una band sporca e cattiva di psych rock ’n roll che nasce in una cameretta, a Roma, dall’incontro tra un abruzzese in ciabatte e un siciliano che se lo è ritrovato nella stessa casa. Il siciliano si chiama Alessandro Montemagno, è il cantante e il chitarrista. L’abbiamo intervistato.
A cura di CTRL magazine
B.M.C., Big Mountain County. Da dove deriva questo nome?
Posso raccontarla in due modi, uno più poetico, l’altro più banale. Ma la verità, come al solito, sta nel mezzo. Iniziamo dal racconto banale. Quando abbiamo iniziato nel 2012 eravamo un duo. C’ero io, che di cognome faccio Montemagno, Big Mountain; e c’era il chitarrista, Francesco Conte…dunque, County. E ora siamo pronti per il racconto poetico. Per quanto fossimo in due, all’inizio, già sognavamo una contea di musicisti, pronta a unirsi a questo progetto. Inoltre: io vengo da Catania, ho sempre vissuto con l’Etna alle spalle, più di tremila metri di altezza. Francesco, invece, è abruzzese; e alle spalle di casa sua c’è la Majella, quasi tremila metri. La montagna era il nostro elemento in comune. Un catanese e un abruzzese a Roma. Come vi siete conosciuti? Io sono arrivato dalla Sicilia per studiare. Cercavo una camera, l’ho trovata. Il mio coinquilino era un personaggio scorbutico, che se ne andava in giro in ciabatte per casa e a stento mi salutava. Qualche sera però sentivo degli assoli di chitarra uscire dalla porta di camera sua. Una volta mi sono detto: ora gli busso e gli propongo di suonare un po’ insieme. L’ho fatto. Io a Catania suonavo il basso in una band garage beat, i Boilers. Il coinquilino chitarrista scorbutico, prima di arrivare a Roma, suonava in una cover band abruzzese: era Francesco.
Quindi, si può dire, i B.M.C. sono nati in quella cameretta.
E poi sono usciti molto in fretta da quelle quattro mura.
Sì. Un giorno ho detto a Francesco: “Senti, abbiamo messo insieme 24 accordi. Andiamo a cercare una data e vediamo che succede”. Il primo live è stato praticamente un esperimento sociale. Io non avevo mai cantato. E, per complicarmi ulteriormente la vita, decisi pure di portarmi dietro una cassa della batteria, per tenere il ritmo. Al secondo pezzo me la levai di torno. Abbiamo fatto 4 brani e, in fondo, non fu così male. Dopo quella data, alla Contea si aggiunsero Bruno Mirabella, il batterista, anche lui di Catania, anche lui aveva suonato nei Boilers. E Wolfman Bob, Roberto Colella, dalla Puglia: diventò il nostro bassista.
Dalla cameretta, al primo live, al primo tour all’estero.
Sì tutto, nel giro di pochi mesi. Il passo del tour all’estero è stato tutto merito di Bob. Un giorno arrivò in saletta e ci disse: “Ragazzi, per capire se siamo davvero una band dobbiamo stare 15 giorni fuori, in costante disagio e sotto pressione. Se torneremo, ci rivolgeremo ancora la parola e avremo ancora voglia di suonare insieme, ecco, lì saremo davvero una band”. Così abbiamo preso Margot, che è il nome del nostro fido furgone Berlingò, e da Roma siamo partiti per l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Serbia e infine la Bosnia. È stato fantastico. Alla fine di quell’estate abbiamo iniziato a scrivere il nostro primo disco, Breaking Sound.
E adesso siete pronti per il secondo, giusto?
Sì, ci siamo quasi. Ci abbiamo lavorato per più di un anno e mezzo. Abbiamo fatto tutta la preproduzione nel nostro posto magico, un ex convento di clarisse in Abruzzo. Un lunghissimo periodo chiusi lì dentro. E ora abbiamo terminato le registrazioni. Non abbiamo un metodo compositivo fisso e regolare, né abbiamo un leader. Spesso ci ritroviamo in sala, attacchiamo a suonare e ci facciamo dei viaggioni di 40 minuti. Registriamo tutto. Poi riascoltiamo, alla ricerca di spunti buoni. E da lì partiamo con la costruzione dei nostri pezzi. Io poi metto una linea vocale melodica. E ,quando siamo tutti convinti, su quella linea montiamo i testi, di cui ci occupiamo io e Bob. La principale critica dei nostri produttori è che noi della Contea siamo un po’ troppo democratici! Ma in fondo ci piace così.
Come autore quale diritto vorresti avere?
Una visione chiara dell’aspetto burocratico, legale ed economico del nostro lavoro. Chiara e
trasparente.