Il suo album di esordio “La Stanza” è caratterizzato da suoni acustici e da un cantautorato con liriche molto ispirate. Abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche parola con lui.
Ciao Stefano! Come e quando è iniziato il tuo percorso musicale?
Ho fondato la mia prima “boy” band, i Drunky Lovers, all’età di 16 anni. Ci siamo tolti qualche soddisfazione, andavamo in giro proponendo i nostri pezzi da Salerno a Casa Sanremo. Ero un fiume in pieno di canzoni pop. Il sogno si spezzò sul più bello, ma decisi di seguire l’istinto: di quel gruppo non ero il cantante, bensì autore e prima chitarra. Avevo paura della mia voce. Poi ci ho lavorato su, studiando con Germano Parisi e Francesco Di Bella, ed eccomi qui.
Cosa rappresenta nel tuo percorso e come nasce il tuo album “La stanza”?
“La stanza” rappresenta un nuovo capitolo della mia vita. È un album di ricerca personale totale, un lavoro sincero, vero. Mi sono interrogato sulla umana condizione e la felicità che ne consegue partendo dalla mia piccola esperienza, dal mio vissuto, da quello che noto tutti i giorni alla fermata del tram, al bar o in ufficio. Ci sono diverse sfumature al suo interno, alcune delineate con estrema chiarezza, altre un po’ meno intense. Parlo di amore e disillusione, per le persone e per le idee, dell’importanza di impegnarsi nel sociale come nella politica.
Scrivere musica. Come nasce il tuo immaginario musicale? Come lavori abitualmente sul nuovo materiale? E da dove nascono gli input per nuovi brani?
Nel mio immaginario, fino all’età di 15 anni, ci sono stati solo l’amore e i suoi turbamenti. Da quando ho iniziato a muovere i primi passi nella musica, complice anche il laboratorio di songwriting e al collettivo Sant’Apollonia di Salerno, capitanato dal maestro Francesco Di Bella, i miei orizzonti si sono allargati di molto. Oggi ho a disposizione strumenti che mi permettono di avviare ed intercettare al momento giusto il processo creativo, di incanalare le idee e di tradurle su foglio, anche grazie a qualche piccolo trucco tecnico, sia per quel che riguarda lo stile di scrittura che per le armonie da abbinare ai versi. Non c’è più solo ispirazione, ma osservazione di tutto ciò che mi circonda, applicazione e metodo. Se cantassi solo di me stesso non sarei un cantautore, sarei un egoista. C’è tanto di cui scrivere dentro ed intorno a noi, il mondo di oggi deve essere raccontato anche ed ancora nelle canzoni.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Beh, nel breve periodo pubblicare altri videoclip da aggiungere a “Venti clandestini”, uscito il 26 dicembre, e portare la mia musica in giro per l’Italia. Nel medio periodo un secondo album, ponendo le basi per vivere di musica. Nel lungo periodo, invece, uno studio personale in una casa di campagna, possibilmente affacciata sul mare, ma con un piede sempre in città.
Live. Cosa deve aspettarsi chi non ti ha ancora visto suonare dal vivo? Cosa porti sul palco?
Il progetto è molto versatile: molto dipenderà dalla location in cui dovrò esibirmi. Potrei essere da solo, voce e chitarra, oppure in duo (due chitarre o chitarra e violoncello), passando per il trio con le percussioni e la full band (tastiera, contrabbasso). La costante sono le parole, sempre al centro.
Scena in Italia. Quali sono i punti di forza della scena indipendente in Italia in questo momento storico?
L’avvento della musica indipendente, e quindi di un terzo polo tra la musica delle major e del mondo hip hop, rap, trap ha rappresentato una grande opportunità. Chiaramente il fenomeno, per larga parte, sta degenerando: da un lato ho l’impressione che l’indie, da stile di produzione musicale, sia diventato un genere che rappresenti la voglia di “fancazzismo”, mentre spesso la trap è veramente difficile da ascoltare, oltre che poco credibile. Vero è che si tratta di un ritratto iperrealista della società, e vero è anche che il canale aperto dal terzo polo resta. Songwriters, dobbiamo rimboccarci le maniche! C’è bisogno di un po’ di nuova linfa e bellezza anche nella musica italiana. Niente spazio in radio? Prendiamoci i palchi, anche piccoli. Ed in questo Soundreef ci può aiutare.
Industria musicale e impatto con il digitale. Pro e contro.
C’è un sottobosco interessante, conseguenza anche del nuovo ribollente calderone di cui sopra. Noto che anche in una realtà di provincia come Salerno si produce molta musica (di tutti i generi). Il livello delle produzioni è in costante crescita. Il mio auspicio è che le major e le radio, protagoniste indiscusse di un mercato ancora fondamentalmente concentrato, diano spazio all’espressione artistica e quindi alla canzone intesa come insieme di parole, armonie, melodie. Al momento, purtroppo, più soldi hai più vieni ascoltato. Solo un ritorno al live (e quindi all’analogico) può rimescolare le carte: se a questo abbiniamo una buona promo sul web, avremmo tutto ciò che occorre per entrare in competizione, anche da squattrinati.
Perché Soundreef?
Mi sono avvicinato a Soundreef perché mi ha ridato speranza. E infatti ho organizzato diversi eventi di discussione nella mia città, nella quale gli spazi per i musicisti si contano sulle dita di una mano, mentre la musica, oggi, è l’unica produzione culturale locale. Se da un lato, talvolta, è la passione di un imprenditore ad essere determinante in un senso o nell’altro, spesso i locali si trovano a dover sopportare un costo insormontabile (o meglio, sopportabile se sottratto al cachet degli artisti), che è quello della SIAE. Paradossalmente è una vera e propria barriera all’ingresso. Percepita come una tassa che dovrebbe aiutare gli artisti, in realtà si traduce in una mannaia vera e propria per i sogni musicali di tanti ragazzi, che spesso non ricevono alcuna gratificazione da questa umiliazione. Soundreef, al contrario, permette di organizzare serate ed eventi musicali a costi sostenibili per tutti, garantendo trasparenza, facilità di utilizzo e pagamenti in tempi certi. La speranza? Borderò misti a prezzi di mercato, libertà di scelta da parte degli autori, la SIAE come ente “controllore” e non come avamposto di potere, più musica inedita a ridare vita e speranza alle città.