Tra gli artisti reggae da tenere d’occhio in Italia. Abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche parola con Aharaff 30…
Ciao, quando e come nasce il progetto Ashraff 30?
Dopo 7 anni di percorso musicale con i Kayamama, la mia prima band reggae (2007-2014), ho sentito il bisogno di misurarmi con la carriera da solita. Ho incontrato, così, Fabrizio Catinella, bassista, compositore e produttore, insomma…la persona giusta al momento giusto. È diventato infatti il mio direttore artistico e, da quel momento, abbiamo prodotto due dischi con grandi soddisfazioni.
Come nascono i tuoi brani? Dove e quando li scrivi?
I miei brani nascono un po’ da tutto quello che mi circonda e che vedo, ecco perché dico sempre che trasformo ciò che accade intorno a me in canzoni. Non c’è una regola, l’ispirazione arriva in modo naturale: durante una conversazione, nel sonno, sotto la doccia, durante una camminata per strada. È come un’illuminazione di cui non hai il controllo ed è lei a venire da te, non viceversa.
A quale dei tuoi brani sei più legato?
È difficile per un artista rispondere a questa domanda, perché per quanto mi riguarda sono legato a tutti i miei brani. Sono tutti un pezzo di un puzzle che costituisce un quadro e ogni pezzo ha una sua importanza fondamentale ed esclusiva.
Cultura Reggae e Roots in Italia. Come è la scena in questo momento storico?
In Italia il reggae non ha ancora il posto che meriterebbe. È un genere che a livello di messaggio istruttivo ed educativo credo che non possa che fare del bene a un paese come l’Italia. Eppure, come potete ben vedere, oggi come oggi la musica in Italia sta cadendo nella banalità e nello scontato, quando i dogmi della musica sarebbero ben altri.
Origini: quando hai fatto i primi passi come autore/compositore?
Ho cominciato ufficialmente a 13 anni, quando io e uno dei miei migliori amici avevamo come gioco preferito le rime. Uno partiva con una frase e l’altro ne aggiungeva una seconda e così via, sempre con le rime sui finali…era molto divertente. Un giorno abbiamo deciso di fare musica hip hop: per l’età che avevamo e per quel momento storico, era il genere giusto. Ho imparato a scrivere facendo hip hop, ma il reggae è sempre stato con me.
Riguardandoti indietro cosa è cambiato dagli inizi ad oggi?
Ad oggi un po’ tutto è cambiato. L’unica cosa che è rimasta intatta è la mia passione per la musica. Ma, come dicono gli inglesi “experience makes difference”, e io sono cresciuto come autore e come compositore nella cura e nelle scelte degli arrangiamenti musicali. 25 anni non sono pochi! Tutti questi anni di alti e bassi, di impegno, di concentrazione e perseveranza, sono senza alcun dubbio un ricco bagaglio per me.
Scrivere musica: come funziona per te il processo compositivo?
A volte arrivano prima le parole perché come artista, rivoluzionario, avvocato del popolo, sento di essere la voce di quelli che non hanno voce. Quindi, capita che prima scriva un testo per poi associarlo a una melodia. Può succedere, però, anche il contrario, cioè che mi venga in testa una melodia che poi mi ispira un tema.
A cosa un autore non dovrebbe mai rinunciare?
Un autore non dovrebbe mai rinunciare alla propria identità e per identità intendo: educare, illuminare, istruire, ispirare, migliorare la vita di chi lo ascolta.
Sensazione di questo momento storico: come sta cambiando la musica in Europa?
Credo che ci sia bisogno di una “polizia” e “pulizia” musicali, perché la musica non è un gioco, è una cosa seria, una cura per la società, quindi è un dovere mantenerla sana.