Camminare 14 minuti. Lo sapevo da giorni che sarebbe stata questa la prima azione da compiere. Le prime luci del mattino cominciano a svelare i volti assonnati dei passanti mattinieri. Il rumore di un sacchetto di plastica accompagna il mio ingresso nel mondo esterno. Avrei preferito fosse un sacchetto di carta, di quelli innocui color carta, sui quali ci si può colorare sulla carta. Invece no, è plastica. La colpevole di tale rumore è una signora che, con l’aria di chi ha cominciato la giornata con una buona azione, sta raccogliendo dal marciapiede gli escrementi del suo cagnolino. Un’auto coi fari accesi esce dal cancello di fronte creando in quella signora un sorriso imbarazzato seguito da uno sguardo che si perde in poco tempo verso tutti i suoi orizzonti inventati. Ne manca uno, quello sul quale si disegna la sua ombra, un’ombra che ingrandisce ulteriormente il suo gesto normale. Rispondo al suo rumore plastico col rumore metallico delle chiavi. La signora mi guarda. Vede che ho visto tutto. Con un filo di voce la saluto. Distoglie lo sguardo. È tardissimo. Ho circa 8 minuti per percorrere 1100 metri. Devo correre. Più veloce della luce. Il sole sorgerà 14 minuti dopo le 7.
19 secondi e 83 centesimi è il tempo che il 16 ottobre 1968 Tommie Smith, prima di alzare il guanto nero verso il cielo di Città del Messico, fa registrare nella finale dei 200 metri. In quella celebre fotografia, nel contrasto del bianco e del nero, il sole dei colori non è ancora sorto. Nello stesso giorno in cui Tommie Smith si rivela il primo uomo al mondo a scendere sotto il muro dei 20 secondi sui 200 metri, un ragazzino di nome Pietro vince la sua prima medaglia d’oro sulla pista di Termoli.
Quattro ore dopo l’alba arriviamo a destinazione. Nel piazzale della stazione di Pisa si sente solo il rumore dell’acqua. Nel cielo il sole splende riscaldando le panchine, opere d’arte di dubbio gusto, verso le quali pochi minuti dopo si dirigerà Tommaso, pisano dalla nascita, secondo di tre fratelli della famiglia Tanzini. Nessun rumore arriva dai 13 binari. Mentre Tommaso si avvicina, il rumore dell’acqua non intacca il suono del silenzio. “Le parole dei profeti sono scritte sui muri delle metropolitane e sui muri delle case popolari”.
Forse.
Nemmeno il vento e le rondini intaccano la definizione di silenzio. “È tanto tempo che non vedevo una rondine” dice Tommaso pochi secondi dopo mentre guardiamo il cielo di Pisa senza nemmeno una nuvola. “Sono stato in un posto, un bed and breakfast, dopo un concerto un paio di settimane fa. Un posto bellissimo. Il proprietario era un vecchietto a cui piaceva lavorare il legno e parlare. Tutta la casa aveva oggetti in legno fatti da lui. Era molto triste quando, mentre facevamo colazione sotto al porticato, ci raccontava che quel posto fino a qualche anno prima in primavera e in estate era abitato dalle rondini. Adesso non passano più di lì”.
Da pochi giorni è ufficialmente autunno. Tommaso ha gli occhiali da sole, una giacchetta di quelle che non si sa mai e la maglietta infilata nei jeans blu. Ricorda il personaggio delle vignette sui libri di scuola negli anni ‘90. Normale.
“C’è una trattoria storica qui a Pisa. Si va?”. Per la prima volta in tutta la giornata ci mettiamo in movimento a velocità ridotte, senza fretta, a passo normale. Si va da Stelio dove si mangia bene e si spende poco.
“Ora mi prendo quello che voglio senza compromessi”.
Un tempo, Tommaso Tanzini.
Stelio ci accoglie come se ci conoscesse tutti da anni. Nemmeno il tempo di scegliere fra le opzioni del menu del giorno che arrivano tre piatti di pasta, accompagnati dal primo dei due mezzi litri di vino. Stelio è il primo ristoratore a scendere sotto il muro del minuto nel servire il piatto. Chissà se anche lui ha un record da battere come quel bambino di nome Pietro che, qualche anno dopo la sua prima medaglia d’oro, a Barletta gareggiava contro le automobili per tirare su qualche lira. Stelio Berretta, classe 1935, ha aperto la trattoria il 15 febbraio del 1965. Da più di 50 anni ogni giorno cucina per studenti e professori, impiegati e operai nello stesso modo casereccio, “Come m’ha insegnato la mi nonna”. Alla faccia dell’impostazione dei ristoranti e degli chef stellati. La cucina di Stelio è normale.
Nel ’68 mentre Tommie Smith vinceva la sua medaglia e Pisa era il centro toscano dei moti rivoluzionari, Stelio dava da mangiare a “militari ed estremisti che fuori dalla trattoria se le davano di santa ragione ma a pranzo e a cena mangiavano gomito a gomito”. Era il periodo che si ricorda come ’68 pisano con le sommosse nate un anno prima fra i corridoi del Palazzo della Sapienza, proprio di fronte alla trattoria di Stelio.
“Siamo cascati nel trucco di pensare che il mondo avesse bisogno della nostra immaginazione”
La guerra per le briciole, Tommaso Tanzini.
A Pisa ci sono 60 chiese. Una ogni 1516,6 abitanti. Una ogni 3 km2 se si calcola anche la periferia. Nessun miracolo è mai avvenuto in Piazza dei Miracoli. Sono 3 le case dove nacque Galileo Galilei. Guardando una lampada appesa a un filo nel Duomo di Pisa, Galileo elaborò la sua teoria riguardante le oscillazioni di un pendolo. A pochi metri la Torre Pendente. La Terra gira intorno al sole o il sole gira intorno alla Terra? È la Torre che pende o il resto della città? Tommaso propone di berci sopra un ponce, un’antichissima rivisitazione del punch britannico. I suoi ingredienti: caffè, rumme, cognac e una scorza di limone per disinfettare il gotto, la tipica tazza trasparente. Il ponce è uno dei tanti motivi di astio fra Pisa e Livorno. “Meglio un morto in casa che un pisano all’uscio” è un proverbio molto celebre in Toscana. Colpa di Genova e delle Repubbliche Marinare. Colpa dei Guelfi e dei Ghibellini. Colpa dei pisani esattori delle tasse in Toscana. Fatto sta che anche Dante si lasciò andare a un’invettiva contro Pisa nel XXXIII canto dell’inferno augurando alla città, “Vituperio de le genti”, lo straripamento dell’Arno.
“Così tornerò a pensare come fossi un animale, imparerò il linguaggio a costo di farmi male, calpesterò la gente che si porrà di fronte. Dimenticherò da dove vengo io”.
Da dove vengo io, Tommaso Tanzini.
Il luogo dove bere il ponce è senza dubbio La Tazza D’oro. “È uno dei nomi più comuni in Italia” ci dice il barista mentre ci spiega gli ingredienti ufficiali del ponce fra cui spicca il Sassolino usato in sostituzione del Cognac. Secondo Google in Italia esistono 61 bar La Tazza D’oro e uno anche nella Barcellona spagnola. Ne esistono addirittura due ad Ancona, protagonisti di una vicenda arrivata fino al tribunale. Pisa invece si coccola la sua unica Tazza D’oro aperta ogni giorno dalle 7 alle 21, tranne la domenica. Sul bancone il protagonista è il limone. Nel bar dove si beve il ponce è una cosa normale.
“Solitamente si beve in inverno per combattere il freddo”. Il ponce ha il suo perché anche nel clima quasi estivo che si respira a Pisa in questo 26 settembre. Lo stesso giorno Sir Francis Drake completava la circumnavigazione della Terra, Jean Baptiste-Bernadotte diventava il primo re ad avere un tatuaggio con scritto “Morte al re!”, l’arcivescovo Emmanuel Milingo veniva scomunicato dal Vaticano, i Beatles pubblicavano Abbey Road. Tommaso Tanzini senza attraversare le strisce pedonali cammina per la città che conosce come le sue tasche. Ha appena compiuto 31 anni. Ne aveva 28 Pietro quando da campione di Barletta divenne campione del mondo alle Olimpiadi di Mosca.
Tommaso non ha fretta. Oltre a scrivere e suonare le proprie canzoni fa il DJ con il nome di Stop Making Sensible, in omaggio ai Talking Heads e alla settima nota della scala chiamata sensibile, soprannome che per un periodo alcuni amici gli avevano dato e che lui non amava particolarmente. La musica che mette Tommaso gira solo su vinile. Prima di attraversare per la terza volta il ponte sul fiume Arno, una bancarella di vinili cattura la sua attenzione. “Ho rivalutato la musica pop negli ultimi anni. Inizialmente mettevo solo cose un po’ punk, un po’ ricercate, ma poi ho scoperto la bellezza delle cose più semplici che così semplici in realtà non sono”.
“Ci siamo sentiti dei giganti nell’arena vincitori. Ma i giganti non passano dalle porte. Rimangono qui da soli per sempre”.
Giganti, Tommaso Tanzini.
A quella bancarella sotto le Logge dei Banchi, Tommaso passa diversi minuti e compra due vinili: uno di Laurie Anderson e uno di David Byrne. “Avevo questo disco ma era in prestito da un amico a cui l’ho dovuto ridare” dice Tommaso riferendosi a Big Science di Laurie Anderson.
Tommaso ci vuole mostrare il primo posto dove si è esibito da solista. Attraversiamo nuovamente il Ponte di Mezzo, passiamo davanti alla Parrocchia di San Nicola ma senza darle troppe attenzioni. “Stavo suonando in una sala prove ed entrò qualcuno dicendomi: vuoi suonare stasera? Inauguriamo un posto e suona un po’ di gente. Accettai e suonai per primo, giù dal palco nella serata di riapertura di questo posto fantastico”.
Il Teatro Ernesto Rossi è davvero un posto che lascia senza fiato. Passando di lì lo troviamo aperto e pochi secondi dopo stiamo dando una mano a portare dentro la spesa per l’evento teatrale in programma per la sera. Oggi il teatro settecentesco ha riaperto da 5 anni. Ora si chiama Teatro Rossi Aperto e guardando il palcoscenico il nuovo nome sembra il suo nome naturale. Il palcoscenico sembra una piazza, un angolo della città. Un porticato verso il quale filtra uno spiraglio di luce, sul quale con un po’ di fantasia si affaccia un balcone, anzi due. Basta poco ancora per immaginare due signore che stendendo le lenzuola dai balconi parlano ad alta voce con accento pisano del più e del meno mentre un gruppo di antichi giovani girano l’angolo e arrivando dal retro entrano in scena. Il Teatro appartiene alla città e la città è il suo spettacolo. Tutto ciò potrebbe essere normale.
“Da piccolo giocavo a basket, facevo il playmaker. Ero basso, poi sono cresciuto tutto ad un tratto. La musica mi è sempre piaciuta ma non andavo molto bene a scuola quindi i miei non mi permettevano di dedicarmi ad altro che non fosse lo sport che va bè si sa, fa bene no? Però avevo una chitarra a casa di un amico e andavo da lui di nascosto a imparare a suonare. L’ho fatto per anni poi un giorno ho detto chissenefrega io la chitarra la porto a casa. Mi madre quando mi ha visto tornare con la chitarra ha cominciato ad urlare ‘Adesso lo senti tu ‘l tu babbo’ e quando lui tornò a casa semplicemente mi disse ‘Certo che ce ne hai messo di tempo…’ “.
“Loro son tutto il sacrificio che ci vuole per accendere un’altra luce”
Fantasmi, Tommaso Tanzini.
Il giradischi comincia a suonare “O Superman” di Laurie Anderson, comprato un’ora prima alle Logge dei Banchi. “Ah ah ah ah. O Superman, o judge, o mom and dad […] Hello? This is your mother. Are you there? Are you coming home?”
Squilla il telefono, è la madre di Tommaso che vuole sapere che si fa per il suo compleanno. Mentre è al telefono ci prepara un caffè, Erica ci parla di cinema, si sente abbaiare il cane dei genitori di Tommaso che in linea d’aria abitano a pochi metri dal giardinetto dove Pisa sembra rubare qualche metro quadrato a Brighton. Un quadro sta appoggiato sopra la libreria in salotto. È un’illustrazione di Matteo Berton realizzata per il primo compleanno di Aloch Dischi, l’etichetta di cui fa parte Tommaso Tanzini. “Aloch è un’esclamazione pisana per dire ah però’, anvedi, sticazzi. Ma è anche il nome dell’etichetta di cui faccio parte e per la quale Davide si sbatte una cifra”.
“Davide vorrebbe fare il regista ma sta aprendo un corso di recupero post-fallimento”
La guerra per le briciole, Tommaso Tanzini.
“Here comes the plane” dice la voce robotica che proviene dal giradischi. Qualche giorno prima l’aereo dei Rolling Stones atterrava a Pisa per il concerto di Lucca. La caffettiera atterra sul tavolo fra gli applausi per il pilota. Tommaso continua a non guardare l’orologio che ha al polso.
Guardava eccome al passare del tempo Pietro, quello che da ragazzino vinceva le gare di velocità contro le automobili. Il 12 settembre 1978 a Città del Messico, sulla stessa pista in cui Tommie Smith diventava l’uomo più veloce del mondo 11 anni prima, quel piccolo uomo alto poco più di 1 metro e 70, 69 chili scarsi, fatti di forza e non di muscoli, diventava un supereroe. Una persona normale nella corsia di mezzo, circondato dai giganti che sotto alla divisa attillata non avevano spazio per la maglietta della salute, bianca, dalle maniche svolazzanti. 200 metri. 19 secondi e 72 centesimi. Il record del mondo. Pietro, una persona normale.
C’è tempo per due giri di bicicletta, ovviamente alla Tazza D’oro, e una torta di ceci prima di attraversare per l’ultima volta le vie del centro di Pisa e arrivare a quelle panchine tanto brutte e scomode del piazzale della stazione. Mentre attendiamo il treno per casa i numeri scritti sulle panchine, quelle rialzate rispetto alle altre, ci appaiono come una soluzione, un’illuminazione. 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34. È la successione di Fibonacci, matematico pisano che visse nel XII secolo. Ogni numero sommato al precedente dà come risultato il successivo. Studiò questa serie per comprendere le modalità di riproduzioni delle lepri. Ne derivò il numero 1,61803 chiamato rapporto aureo o sezione aurea, uno dei numeri che, nascosto dietro alla normalità, dà il ritmo alla natura animale e botanica. Lo stesso rapporto nascosto fra i quadrati rappresentati sulla facciata della Parrocchia di San Nicola a pochi metri dal ponte di Mezzo. Una di quelle cose normali, dietro alle quali si nasconde qualcosa di grande.
Così pochi minuti dopo, su un treno pieno di studenti, il paesaggio esterno sfreccia superando i giganti della velocità che svaniscono in pochi secondi, mentre una lepre che si moltiplica e un piccolo supereroe travestito da persona comune sembrano invece ologrammi immortali. Pietro, mentre diventa l’uomo più veloce della storia, ha al petto il numero 314. Un numero fatto delle stesse cifre del pi greco utilizzato da Galileo per calcolare l’oscillazione del pendolo. Un numero fatto di cifre che sommate danno come risultato 8, il simbolo dell’infinito. Ma probabilmente sono tutte coincidenze casuali. Al termine di questa giornata ogni coincidenza, ogni numero, ogni superman, ogni gigante è ormai travestito di normalità.
“Son stati giorni che ci cambieranno sai. A noi che viviamo di piccole cose e poi ci nascondiamo dietro ai nostri eroi”.
La vita trema, Tommaso Tanzini.
Reportage: Giorgio Moratti
Fotografie: Nicola Carrara