Ciao Raffaele, vieni da molte esperienze diverse. Dj, producer, conduttore radiofonico, direttore artistico: in quali di questi ruoli ti senti più a tuo agio?
Il dj, quello è il ruolo che mi sento sempre addosso come un abito su misura. Qualsiasi cosa faccio nella mia vita professionale (e nel 50% di quella privata) ha a che fare con il mio essere dj, cioè con l’approccio di chi passa la vita a ricercare (non a studiare) ed a proporre, selezionare, contestualizzare, scegliere. Il dj è uno che seleziona ed io mi sento molto selettivo professionalmente parlando.
Il dj è un solitario, fa divertire la gente ma lui sta solo e distaccato in consolle (o in radio).
Il dj sì. Mi sento a mio agio nel ruolo di dj, assolutamente ☺
Come ti sembra oggi la scena musicale in Italia? O forse è più corretto dire ‘le scene musicali’?
Come tutte le altre scene musicali degli altri paesi d’Europa. Molta fuffa, molte cose belle, molti giovani artisti promettenti, molti attempati che non vogliono mollare anche se non hanno più nulla da dire, molti artisti musicisti che collaborano fra di loro e altri che si fanno la guerra. Molti artisti Italiani che stanno facendo la differenza a livello internazionale ed altri che sono eroi in patria ma perfetti sconosciuti all’estero. Come il resto d’Europa.
La scena Italiana non esiste, la scena Italiana è in salute.
Quali sono le novità più interessanti a tuo avviso e perchè?
In questo momento le novità più interessanti arrivano dai ragazzi di seconda e terza generazione. Stiamo vivendo un periodo di enorme fermento creativo. Questo continuo frullare e miscelare idee, tradizioni, culture, filosofie, sta dando vita a realtà non soltanto innovative ma di ispirazione.
Non parlo di chi dice al microfono di essere di origini africane e quindi diventa immediatamente eroe della demagogia dei due mondi. Parlo delle vere sintesi musicali che portano avanti i nuovi jazzisti inglesi come Moses Boyd o Shabaka Hutchings, piuttosto che i beat maker come l’etiope Mikeal Seifu, o il franco/vietnamita Onra.
Un altro grande stimolo per me è rappresentato dai progetti speciali. Floating Points che va a registrare nel deserto del Mojiave in America, Debruit che va a fare un disco con i musisti di strada in Congo, Mala in Perù e via dicendo. Insomma musicisti che per raccontare storie forti non hanno bisogno di scrivere canzoni classiche. Il futuro è la sintesi.
Di cosa ci sarebbe invece bisogno secondo te?
Di più originalità e più azzardo, oltre che di studio ed approfondimento. Soprattutto in Italia.
Come nasce la collaborazione con Soundreef?
Conosco bene Soundreef, mi ha sempre affascinato il loro modo di vedere le cose e conoscevo alcune persone che ci lavorano, così ho proposto loro di provare a dare visibilità ai loro artisti tramite un podcast e loro che chiaramente hanno una visione super contemporanea hanno amato subito l’idea.
Come intendi sviluppare il format di Soundreef Waves?
E’ ancora un work in progress, vorrei provare a sperimentare modi diversi per poi capire quale ci starà più comodo. A me, a Soundreef ed agli artisti. Le prime puntate saranno più semplici, poi mi piacerà aggiungere qualche idea. In generale io amo la radio semplice, quella fatta con una persona al microfono che parla poco e fa sentire bella musica. Ma questa non è radio, nel senso che non la senti per caso in macchina, ma devi cercartela, quindi magari si può provare a sperimentare qualcosa, se il pubblico avrà voglia di seguirci.
Ogni cosa suo tempo come disse il batterista di James Brown☺